Scialpinismo, passione e tradizioni: Michele Boscacci

A cura di Francesco Chirico

Manca poco alla nuova stagione di coppa del mondo di scialpinismo. La neve c’è, ed è molto più abbondante delle medie stagionali.
Per questo, abbiamo intervistato Michele Boscacci, campione del mondo di scialpinismo, che il 20 dicembre inizierà a dare tutto sui tracciati della coppa del mondo.

Michele Boscacci, classe 1990, è campione del mondo di scialpinismo, eppure il suo nome non spicca se non tra gli addetti ai lavori.
Lo scialpinismo è uno sport di nicchia, e al suo interno si suddivide ulteriormente. Per chi non è nel settore, è facile confondersi tra le varie discipline invernali, e spesso lo scialpinismo non viene nemmeno citato. Molte persone non credono che si possa andare in salita con gli sci, e invece non solo è possibile, ma è pure il modo più efficiente per muoversi sulla neve. Il trucco sta nelle pelli di foca, ormai sintetiche (per fortuna), che permettono allo sci di scorrere in avanti, ma non indietro. L’altra particolarità è l’attacco, che in salita tiene saldo lo scarpone in punta, ma lascia libero il tallone, per poterlo alzare come quando si cammina normalmente. 

Ci sono due mondi paralleli all’interno dello scialpinismo: quello degli appassionati e il mondo race. Nel primo si osserva un continuo aumento numerico, lo scialpinismo va di moda, anche perché «ti rende libero di praticarlo in qualsiasi momento e in qualsiasi posto, a patto che ci sia la neve» ci racconta Boscacci.
Nel mondo delle gare non ci sono molti praticanti, ma è «la punta dell’iceberg che fa conoscere questo sport a tutti quanti». Negli ultimi anni il livello si è alzato notevolmente, quindi un semplice appassionato che lavora si troverebbe in difficoltà nel preparare adeguatamente una gara.

La speranza del momento è la candidatura alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, dove lo scialpinismo potrebbe diventare sport olimpico. In quest’ottica, «la federazione italiana ha tanti atleti forti nella squadra nazionale. Si spera che faccia di tutto per poterci coinvolgere e riuscire ad avere una medaglia assegnata a questi giochi olimpici» prosegue il campione del mondo.

Come si inizia

La famiglia Boscacci è di Albosaggia, piccolo comune valtellinese alle pendici del Pizzo Meriggio, montagna di casa per Michele. La passione per lo scialpinismo è nel DNA dei Boscacci, prima il nonno, poi il papà, già campione del mondo di scialpinismo e infine Michele.
Dopo due generazioni immerse nel mondo delle pelli di foca, c’è il rischio che un figlio si senta obbligato nel seguire la stessa strada, invece l’avvicinamento di Michele allo scialpinismo non è stato affatto forzato. Da bambino, suo papà era impegnato nella coppa del mondo, allora era il nonno che lo portava a vedere il papà che gareggiava, ma Michele era abbastanza un lazzarone a quell’età.

Piano piano poi, senza pressioni, Michele ci racconta come gli sci e le pelli entrarono nella sua vita in maniera molto naturale: «Vedendo il papà che faceva queste gesta, queste gare, piano piano mi sono avvicinato, ho iniziato. Tutta la famiglia non mi ha mai fatto pesare che mio papà avesse vinto e fosse molto forte. L’ho sempre visto come un punto di riferimento, non che volevo eguagliare e superare, ma che ammiravo».

Due generazioni Boscacci in allenamento al Passo del Tonale, entrambi campioni del mondo. © Michele Boscacci

Il mondo race

La spontaneità con cui Bosca è entrato nel mondo delle gare, prima junior e poi senior, fino ad arrivare alla prima vittoria in coppa del mondo nel 2016, continua nella quotidianità delle gare e nella comunità tra atleti. «Il clima tra compagni di squadra è molto cordiale, non ci sono tensioni, capita spesso che la sera prima ci si confronti come amici sul tracciato di gara e ci si diano consigli, per poi trovarsi avversari la mattina successiva». È grazie a questo clima che Michele e gli altri atleti del team Italia si godono al meglio le trasferte e le gare.

Pierra Menta 2018: a sinistra, Boscacci alza il ritmo in salita al comando di “Michi, a tutta!” ©StefanoJeantetPhoto
A destra, Michele Boscacci e Robert Antonioli festeggiano la vittoria. ©Ferrarifoto

A stagione avanzata le cose cambiano: è il momento della Grande Course, le gare si spostano a quote più alte, si sale e si scende su ghiacciai, creste a più di 4000 m e pendii con insidiosi crepacci. Per la sicurezza degli atleti, queste gare si corrono legati in cordata, a coppie o tris, come sempre si fa quando si è su un ghiacciaio, estate o inverno che sia. I compagni di squadra corrono per più di 4 ore legati in cordata, quasi in simbiosi.

Non esiste una regola che obblighi i componenti di una squadra ad essere connazionali, ma gli atleti italiani cercano di fare squadre tutte italiane. In questo modo i compagni si conoscono molto bene, condividono i campi gara e di allenamento per tutta la stagione, e non è quindi necessario fare allenamenti specifici per aumentare il feeling tra compagni di squadra. Il ritmo è talmente alto e la stagione così varia, che è impossibile che il ritmo dei compagni di cordata sia esattamente identico.

Capita allora che chi è più forte in salita aiuta l’altro, e viceversa in discesa. Michele Boscacci e Robert Antonioli sono spesso insieme in queste gare, con Michele che spinge di più in salita e Robert che si butta in discesa con un filo più di “pazzia”, tracciando la strada al socio.

Michi in discesa sulle cime del Monte Rosa durante il Trofeo Mezzalama 2019, con Damiano Lenzi e Matteo Eydallin.
© Giacomo Meneghella – clickalps

Valanghe, ARVA e sicurezza

I compagni di gara o di gita, svolgono anche un ruolo fondamentale nel recupero da valanga. Quando si è su terreno innevato, la possibilità che una valanga ci travolga non è mai nulla. Si sta molto dibattendo sul tema sicurezza, ma Michele ha le idee piuttosto chiare: «si deve sicuramente rendere consapevoli che in montagna si va con le proprie gambe, si va con la propria testa e che bisogna stare attenti perchè oggi è così, ma domani può cambiare, può essere totalmente un’altra cosa. Per quanto riguarda le valanghe è molto importante sapere come cambia la neve quando fa caldo, quando fa freddo, quando nevica. Fondamentale è avere con sé l’attrezzatura di primo soccorso (ARVA, pala e sonda) e saperla usare».

«Anche se si esce da soli, in caso succeda qualcosa devi rendere più veloce possibile chi ti viene a cercare. A maggior ragione se giri in gruppo! Magari non lo fai per te, ma per la tua ragazza o per il tuo amico che, sfortunatamente, rimane sotto una valanga. Così saresti in grado di tirarlo fuori nel minor tempo possibile, perché anche se fai le cose per bene e l’elicottero è già lì nei paraggi, sono minuti preziosi».

Il grafico della probabilità di sopravvivenza in valanga, tristemente noto come “curva della morte”. © SLF

La probabilità di sopravvivere a una valanga è alta, circa l’80% nei primi 10 minuti, ma cala drasticamente dopo questo breve lasso di tempo. Per questo non si può aspettare il Soccorso Alpino, ma bisogna iniziare a soccorrere il travolto fin da subito, con gli strumenti giusti e il sangue freddo di chi sa bene come usarli, e come gestire le diverse situazioni.

«Rendere obbligatoria una cosa nel nostro ambiente è estremamente difficile, ma se ci fossero dei criteri per poterlo controllare allora sì, l’ARVA lo renderei obbligatorio. Penso che comunque stia al buon senso di chi esce in montagna, di portare l’ARVA. Soprattutto tra amici e compagni di escursione, bisognerebbe emarginare chi non rispetta questo codice non scritto» prosegue il Bosca.

Anche in gara, nonostante il percorso sia messo in sicurezza dai responsabili del tracciato e ci siano delle guide alpine pronte ad intervenire, gli atleti hanno sempre con sé l’attrezzatura da auto-soccorso.

Il futuro

Lo scialpinismo è fortemente legato al clima, e la neve è tenuta sotto stretta osservazione, sia per cercare la discesa migliore che per evitare luoghi pericolosi dove sarebbe facile staccare delle valanghe.

Negli anni di attività sulla neve, Michele ha sciato su ogni tipo di neve, e ha toccato con mano i cambiamenti delle stagioni invernali: «È da qualche annata – a parte quest’anno ndc – che c’era un grosso anticipo di autunno all’inizio di ottobre, oppure a fine settembre. È ancora un po’ presto per nevicare, e dopo questo anticipo non ci sono più precipitazioni, anche se le temperature sarebbero anche adatte a far nevicare in quota. Oppure, quando viene a nevicare o a piovere, butta giù tanta di quella roba che fa paura».

Come la neve e le stagioni, cambiano anche i materiali, le gare, e lo scialpinismo in generale. In questo momento storico siamo arrivati ad un punto di stallo sui materiali, perché i produttori hanno progettato scarponi e sci talmente leggeri e performanti da aver raggiunto il limite minimo di peso imposto dalla federazione. Fondamentali sono anche i cambi di assetto, cioè i momenti in cui si tolgono le pelli, si bloccano gli scarponi in modalità “discesa” e si aggancia il tallone (o viceversa se si inizia una salita). Anche in questo caso la tecnologia è arrivata a fornire agli atleti e ai singoli appassionati materiali con i quali eguagliare i tempi dei pit-stop in Formula 1.

Michele e gli altri atleti staccano le pelli di foca dagli sci e si preparano per la discesa. ©Michele Boscacci

Per il futuro, passata questa fase di stallo, non si può sapere dove si arriverà. «È difficile pensare tra 50, 100 anni. Ora dico cosa vuoi fare più di così? Ma questo lo si pensava già 10 anni fa, e il mondo è in continua evoluzione. Secondo me ci saranno talmente tante cose che cambiano che non si riesce neanche a immaginare».

Per il proprio futuro invece, le idee sono più nitide. Nato nel cuore delle Orobie valtellinesi, anche se viene trascinato in giro per il mondo per impegni agonistici e di sponsor, Michele non abbandona il legame con le proprie montagne. Con l’aiuto del nonno che lo sostituisce quando è via, ha messo su una piccola stalla, per allevare bovini nelle montagne di casa. Per ora è poco più che un hobby, qualche investimento fatto e i conti in pari. A fine carriera deciderà se restare nel settore come allenatore delle nuove generazioni, o tornare a far vivere le montagne come dovrebbero, con bovini che brucano tranquilli negli alpeggi e pastori che si svegliano all’alba per la mungitura.

Per conoscere la risposta dovremo aspettare altre stagioni, altre gare, altre vittorie. Magari olimpiche, chissà!

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