SSM2020 – La storia infinita dei camici grigi italiani

“La Medicina è una scienza sociale
e la politica non è altro che medicina su larga scala”
Rudolf Virchow 1821-1902 padre della Patologia Clinica

Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare della resilienza e dell’eroismo del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Parole che suonano ipocrite e vuote a chi nella sanità lavora davvero. Nella condizione attuale 24.000 medici – in vari modi definiti giovani, inesperti e neolaureati – sono bloccati a causa di un concorso pubblico (chiamato SSM2020) che hanno svolto il 22 settembre per accedere alle borse di specialità e di cui, alla data attuale, ancora non sanno niente: né la graduatoria definitiva né la sede di assegnazione. C’è un termine evocativo per definire i medici prima dell’accesso in specialità: i camici grigi.

Il concorso è nazionale e prevede 14.000 borse per 24.000 partecipanti: questo comporta la creazione di un imbuto formativo che dal 2013 non fa altro che ampliarsi. Questa strettoia fa sì che anno per anno circa 10.000 medici non possano accedere alla borsa di specialità. Questi medici riproveranno il test l’anno seguente, sommandosi ai 10.000 che non potranno accedere dell’anno in corso, oppure espatrieranno. Le alternative sono poche.

Il concorso su base nazionale prevede che probabilmente ci si debba spostare per poter accedere alla borsa che si vuole. Ad oggi – 6 dicembre – si sa che entro il 15 dovrebbero arrivare maggiori informazioni, mentre la presa in carico rimane il 30 dicembre. Poco meno di 15 giorni dunque per immatricolarsi, cercare casa e trasferirsi. Già difficile in tempi normali, l’insediamento rischia di diventare una missione praticamente impossibile, di fronte a una situazione che prevede il combinato disposto di: pandemia, segreterie aperte pochi giorni, il Natale e il Dpcm che limita gli spostamenti tra le regioni.

Il Ministero, in tutto questo, ha confuso ulteriormente il quadro, modificando in modo seriale le date di scadenza. E’ sul Corriere della Sera di oggi – 6 dicembre- la comunicazione di Gaetano Manfredi, titolare del dicastero di Università e Ricerca (il MUR) che probabilmente la presa in carico verrà spostata al 15 gennaio. Nessuna comunicazione ufficiale, nessuna scusa, nessun chiarimento.
A questo quadro d’incertezza, si aggiunge l’impossibilità – definita dallo stesso bando – di ricoprire altri incarichi alla data di presa in carico nella sede assegnata che ha obbligato moltissimi medici – che avevano attività, pur precarie, di lavoro – a licenziarsi sin dal 30 Novembre per ottemperare all’obbligo, con i prescritti 30 giorni di preavviso, entro la data del 30 dicembre. Data che, dopo plurimi rinvii settimanali, era stata definita dal Ministero improrogabile, mentre ora, dallo stesso Ministero, appare ulteriormente rimandata.

Il paradosso della situazione è che nonostante i toni del ministero siano spesso stati vergognosamente offensivi, parlando di “pochi giorni” – 74 ad oggi – e di piccole difficoltà, i medici vengano dipinti come viziati – preferirebbero borse in cardiologia piuttosto che in medicina d’urgenza – oppure ragazzi – per il primo anno sarebbero inutili all’ospedale.

Ricordiamoci che i medici di cui stiamo parlando hanno iniziato a 18 anni un lungo percorso con il test d’ingresso a Medicina, sei anni di università, innumerevoli tirocini, per un totale di sette anni di studio e si sono affacciati al mondo del lavoro in una situazione di precarietà totale e sapendo perfettamente di dover ultimare il loro percorso di studi con il concorso di specialità o quello per diventare medici di medicina generale. L’alternativa è continuare nella precarietà di lavori a cottimo, a tempo determinato e contratti CO-CO-CO. Professionisti che hanno le idee chiare sulla professione da loro scelta, che hanno iniziato una vita personale, familiare e spererebbero anche professionale a breve.

Siamo così abituati a un sistema ingiusto che abbiamo quasi dimenticato cosa significhi il rispetto per la professionalità e quale sia la missione e lo scopo del SSN.

Quando è stato istituito con la legge 833 del 1978, i valori fondanti del Servizio Sanitario Nazionale erano quelli di Universalità, Uguaglianza ed Equità. Le scelte politiche di regioni e dei ministeri che si sono succeduti in oltre quattro decenni hanno portato a preferire una sanità privata d’eccellenza alla medicina del territorio che si occupi di prevenzione e tutela del cittadino.
Questo porta alla vergognosa situazione dei vaccini anti-influenzali in Lombardia ma non solo. Secondo l’OCSE nel 2018 il rapporto tra spesa sanitaria e Pil in Italia era vicina al 6,5 %, soglia limite per l’OMS per garantire assistenza e accesso alle cure di qualità. Questo inevitabilmente porta a una riduzione dell’aspettativa di vita.

L’indice del calo del finanziamento pubblico alla Sanità negli ultimi 10 anni – Documento di Economia e Finanza

Queste scelte e questi tagli hanno avuto l’impatto che stanno vivendo questi medici sulle loro vite. Gli specializzandi sono risorse fondamentali degli ospedali stessi: jolly che permettono spesso di tenere aperti ambulatori e di coprire turni di lavoro massacranti. Hanno borse di formazione, non hanno contratti, non hanno tredicesima, non hanno tutele. E sono assurdamente pochi.
Come ha dichiarato la Corte dei Conti a maggio 2020 “è importante provvedere quanto prima ad una determinazione del fabbisogno futuro di medici, ma anche saper trattenere presso il nostro sistema sanitario i giovani che, dopo un lungo periodo di formazione, trovano all’estero migliori opportunità di lavoro”. Nei prossimi sette anni andranno in pensione 52mila medici ma senza programmare la formazione dei camici grigi il numero di laureati in Medicina e Chirurgia non potrà sopperire a questo ricambio generazionale. Non ci servono medici ma specialisti.

Le reti formative che si occupano della loro preparazione riguardano solo alcuni degli ospedali sul territorio, gli ospedali universitari oppure ospedali privati attraverso convenzione. Con gli introiti della sanità privata si potrebbe davvero ampliare il numero delle borse di specialità, garantire a ogni specializzando un contratto di formazione-lavoro, togliendoli da questo ibrido studente-lavoratore, estendere la rete formativa, dargli dei diritti oltre che dei doveri, regolarizzare la figura del camice grigio che lavora sul territorio pensando a delle soluzioni a tempo indeterminato per medici di continuità assistenziale e per chi lavora nelle RSA.
Denunciamo tutto questo insieme alla necessità che ai giovani medici deve essere garantito il rispetto della loro professionalità e del loro futuro famigliare e lavorativo; un rispetto che non ci aspettiamo – e ci dispiace ricordarlo – da un Ministro che non conosce il numero delle domande del concorso pubblico (non sono 100 ma 140) o che afferma che un concorso è stato annullato quando sa che ciò non corrisponde al vero (ci riferiamo al 2014).

Questa situazione non riguarda il problema di una categoria privilegiata; riguarda le cure che ognuno di noi riceverà in futuro, riguarda l’entità e la preparazione del personale sanitario che presterà la sua opera nel servizio sanitario nazionale, il numero di medici per abitanti, la sua densità nel territorio e la sua efficacia preventiva.
Il momento giusto per abolire l’imbuto formativo era sette anni fa. Oggi possiamo però cercare di cambiare il trend, investire nuovamente nel SSN, investire per formare un adeguato numero di medici specialisti che saranno – non dobbiamo dimenticarlo – il baluardo a difesa della salute fisio-psico-sociale del domani di tutti gli italiani.

Questi medici saranno in piazza il 7 dicembre 2020 alle ore 10 a Milano, Roma, Firenze, Verona, Siena, Genova e Pescara, il 9 dicembre scenderanno in piazza a Catanzaro e altre città si stanno ancora organizzando. Capire il loro problema è decidere di rispettare e combattere per l’art. 32 della Costituzione: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. 

[Le foto nell’articolo sono di Camilla Bianchi]

Martina Beltrami, classe 1993, sono laureata in Medicina ma ho preso la strada universitaria alla larga iniziando da Scienze Politiche. Leggo come forma di resistenza e sogno di far quadrare insieme tutte le mie passioni. Magari rinasco Bulgakov.

la tua finestra sul mondo

Iscriviti alla newsletter:

    SEGUICI: