Ulisse: l’eroe del ricordo e il fascino per la dimenticanza (PARTE I)

Tempo lineare e tempo ciclico 

Ulisse, Odisseo, mercante, mendicante, Nessuno; riconosciuto con l’epiteto “bello di fama e di sventura”, l’eroe omerico dell’Odissea è sostanzialmente un uomo che cambia faccia, qualcosa che assomiglia agli “Uomini senza volto” cantati da George R.R. Martin nella saga Game of Thrones. Non a caso cosa dice di essere Arya, dopo la sua formazione a Bravos, agli uomini che le domandano chi sia: omericamente, “Nessuno”. 

Il breve parallelismo a cui ho appena accennato ha lo scopo di addentrarci nell’analisi di questo personaggio senza tempo cercando di capire il motivo per cui ancora oggi, dopo quasi 3000 anni, sia ancora così profondamente attuale, moderno, universale. In brevis capire perché la storia di Ulisse continua a influenzare, travalicando i secoli, ancora oggi la cultura contemporanea di tutto il mondo. 

Non ti dirò che l’Odissea sia un poema databile intorno al VIII secolo, non ti dirò neanche che fa parte di una tradizione orale prima ancora che scritta, ma neanche che la storiografia moderna abbia smentito l’attribuzione del poema ad Omero; che si pensi sia essere stato cieco e che si sia fatto aiutare nella stesura da alcuni allievi a lui fedeli. Non ti parlerò di questo perché è una storia trita e ritrita e tutti sanno che Omero è un autore la cui storia si perde tra mito e leggenda e se non dovessi saperlo ecco fatto: lo sai.  

Ma ti parlerò di due grandi protagonisti dell’Odissea, senza carne, che prendono corpo nella figura dell’eroe che ha tanto patito per tornare in patria, nella sua “petrosa Itaca”. Ti parlo del ricordo e della dimenticanza

Due sono le immagini narrative che vengono utilizzate per esprimere la geografia immaginativa dell’Odissea: la roccia e l’acqua

La roccia con la sua solidità, la sua persistenza, la sua inscalfibilità rappresenta immaginativamente il ricordo, la memoria, mentre l’acqua con la sua fluidità, inconsistenza, inafferrabilità nel suo eterno scorrere è l’immagine dell’oscurità della presa del ricordo su di noi: la dimenticanza, come ho detto. L’oblio. 

Ma prima di affiancarci come fantasmi nelle avventure per terra e per mare del nostro eroe, dobbiamo fare un passo indietro e offrirci all’analisi di come ricordo e dimenticanza si configurano all’interno della narrazione. 

Il professore Paolo Spinicci, nel saggio Itaca, infine, ci indica due modi in cui si esprime il tempo nell’Odissea: un tempo lineare e un tempo ciclico, il secondo nella sua declinazione di tempo bloccato. Per capire ciò, bisogna comprendere la fenomenologia che fa Spinicci del ricordo.

Secondo l’intellettuale, è possibile individuare tre tipologie di ricordo nel viaggio di Ulisse: 

  1. il ricordo che chiamerò “ricordo a-temporale”, ossia qualcosa che abbiamo imparato senza ricordarci il momento preciso in cui l’abbiamo appreso. Ulisse ha imparato a resistere a dolore e fatica ma non si ricorda quando;
  2. il “ricordo famigliare”, involontario, inconscio; parliamo di una rimemorazione non effettiva, cioè non legata a un evento specifico del passato. Un ricordo di tipo emozionale: la forza del presente che incombe su di noi e riattiva il ricordo, un ricordo di cui non abbiamo controllo che ci travolge. Come nel caso di Ulisse, naufrago nella terra dei Feaci, il cui canto della guerra di Troia da parte del poeta Demodoco, durante il banchetto del re Alcinoo dato in suo onore, provoca in Ulisse il pianto;
  3. il “ricordo che si fa racconto”; parliamo di una rimemorazione effettiva, dove il passato diventa una storia da portare alla luce. La forma esplicita di ricordo che genera il racconto della propria esistenza, quello capace di dissipare la nebbia che avvolge Itaca al ritorno dell’eroe. La funzione di questo ricordo, è quella di ricostruire il tempo lineare. 

“Che cosa s’intende per tempo lineare?”

È il tempo del progettare, quello che lo storico e antropologo Ernesto De Martino, in riferimento alla filosofia esistenzialista, chiamava “tempo della presenza”: l’uomo intende la sua esistenza come diversa rispetto alle cose che lo circondano perché capace di inserirsi in un sistema progettuale per cui il presente non è altro che la compresenza di passato e futuro. In altre parole, sotto il profilo esistenzialista, frasi motivazionali come “vivi il presente”, “dimentica il passato e vai avanti”, “esiste solo il domani” diventano un affronto in quanto è impossibile pensare a un futuro che non affondi nel passato, e l’uomo orientato al futuro vive il proprio tempo presente come se fosse già un futuro realizzato nel passato, in quanto inscindibilmente ad esso collegato.

E qual è, quindi, il tempo lineare di Ulisse? Ce lo racconta lui in prima persona dopo essersi emozionato con la poesia di Demodoco dove l’eroe rivela la sua identità: lo stratagemma del cavallo è frutto del suo ingegno. Ma dobbiamo fare una precisazione: esiste una differenza sostanziale tra la narrazione dell’aedo Demodoco, una narrazione che soddisfa il bisogno di distrarsi la sera, e la narrazione di Ulisse, una narrazione che travolge l’ascoltatore emotivamente per la sua umanità.

Presso i Feaci, Ulisse sollecitato da un evento presente (il canto di Demodoco della guerra di Troia), inizia a raccontare ciò che gli è successo dopo la fine della guerra contro Priamo. Se prima il canto di Demodoco gli aveva procurato una risposta emotiva incontrollata (il pianto), ora il presente apre un varco nel passato, ma il ricordare, come ci dice Spinicci, è una prassi faticosa per diversi motivi: 

  1. la difficoltà di percorribilità dei nostri ricordi, in quanto il presente apre una falda ma non è in grado di ricondurci perfettamente alla meta desiderata;
  2. l’esigenza di abbandonare il fluire del tempo presente per immergersi completamente nel passato; 
  3. il problema che il ricordo, proprio perché legato a un tempo finito, è una ricostruzione immaginativa del nostro passato. In altri termini, il racconto della nostra vita è, in realtà, una pura narrazione finzionale.

Bisogna precisare che l’Odissea risulta essere non tanto un poema del ricordo, quanto un poema sulla fatica umana del ricordare. E così Ulisse sollecitato da Alcinoo, inizia a raccontare le sue peripezie.

Protagonista indiscusso dalla caduta di Troia con il suo famosissimo stratagemma del cavallo di legno, dopo dieci anni estenuanti di guerra, Ulisse salpa per tornare a Itaca. Saccheggiata con il suo equipaggio la città di Ismara, terra dei Ciconi, naufraga a seguito di una furiosa tempesta con alcuni suoi compagni nella terra dei lotofagi, popolo dedito all’attività di raccolto del fiore della dimenticanza, il fior di loto. 

Successivamente condotto dalla provvidenza sull’isola dei Ciclopi, vivrà il dramma dell’antropofagia (la pratica dei ciclopi di cibarsi di carne umana), con la perdita di alcuni suoi compagni di viaggio, e diventerà protagonista dell’episodio emblematico dell’accecamento del gigante Polifemo: azione che gli arrecherà l’ira di Poseidone, presunto padre del ciclope. Poi soggiornerà con i compagni sopravvissuti presso la corte di Eolo che gli donerà l’otre di tutti i venti per facilitargli il ritorno a casa. Ma la raccomandazione di non aprirla non viene rispettata dal suo equipaggio e mentre Ulisse dorme, una terribile tempesta si abbatte nuovamente su di loro e riporta le navi all’isola di Eolo. Nonostante le preghiere di Ulisse, Eolo rifiuta di aiutarli di nuovo e gli invita a lasciare la sua terra. 

Ripreso il viaggio, scampati dai mostruosi cannibali nella terra dei Lestrigoni, raggiungono l’isola della maga Circe che, dopo aver trasformato i compagni di Ulisse in maiali, si innamora dell’eroe e accoglie lui e i suoi compagni nella sua dimora per un anno. Sotto le indicazioni di Circe, Ulisse si spinge all’estremo limite occidentale del mondo conosciuto, nella terra dei Cimmeri, con lo scopo di ottenere informazioni dall’antico indovino Tiresia sul suo futuro. Qui, si verificherà il viaggio di Odisseo negli inferi dove incontrerà la madre, morta di crepacuore a causa della sua assenza, che gli rivelerà le notizie dell’assedio della sua casa da parte dei Proci, ma anche gli eroi della guerra di Troia come Agamennone, Aiace e Achille. 

Ritornato da Circe, che lo metterà in allerta dei pericoli che dovrà affrontare come le Sirene e i mostri Scilla e Carriddi; Ulisse subirà l’ultima e più devastante vendetta degli dei: un’altra tempesta causata dalla incuranza dei compagni, a cui Circe aveva profetizzato di non cibarsi della sacra mandria del dio Helios. Ormai solo, Ulisse, unico sopravvissuto della sua flotta, si sveglia nell’isola della ninfa Calipso in cui rimarrà per ben sette anni. Avvertendo la malinconia di casa, costruirà una zattera che gli possa consentire il ritorno ma finirà per naufragare nell’isola dei Feaci. Nudo sulla spiaggia verrà ritrovato dalla figlia del re Alcinoo, Nausicaa, che  di lui innamoratasi lo farà accogliere alla corte del padre. Empaticamente coinvolto nel racconto della storia di Ulisse, sarà lo stesso Alcinoo che gli donerà la nave del ritorno a lungo atteso. 

Questa è la storia che racconta Ulisse presso la corte di Alcinoo e noi lettori diventiamo partecipi della riappropriazione del suo tempo lineare, il tempo che spinge all’azione e ti fa ricordare chi sei: re di Itaca, guerriero di Troia, ora pronto per sventrare i nemici che violano la sua casa. 

È innegabile che Ulisse sia il personaggio del ricordo e della memoria ma non dobbiamo dimenticare che è anche il personaggio che subisce il fascino per la dimenticanza. La dimenticanza, altro grande tema che si affianca parallelamente al tema del ricordo, si collega a quello che, come ho precedentemente detto, è il tempo ciclico. 

Ma che cos’è il tempo ciclico?

Se per tempo lineare intendiamo il tempo della progettualità umana, il tempo ciclico è il tempo della dimenticanza, il tempo bloccato, eterno della ripetizione, il tempo che ti fa dimenticare chi sei, il tempo della quotidianità, della ripetizione infinita che non lascia segno, il tempo del dolce far niente, della leggerezza, in cui non ci si deve affannare per prendere scelte, per capire se queste siano giuste o sbagliate. 

Il tempo, quindi, lontano dall’inquietudine derivante dalla progettualità della vita; l’opporsi alle responsabilità e ai ruoli che ti impone la società e la natura stessa. Per questo Ulisse è l’uomo che vuole dimenticare chi è: troppo doloroso essere re d’Itaca, troppo doloroso essere padre di un futuro re, troppo doloroso essere marito fedele. Ulisse vuole perdersi: essere mercante, mendicante, Nessuno. 

Ulisse è l’uomo, che come noi, aspira alla libertà più completa e la trova nell’avventurosità del suo viaggio. Come se da una parte aspettasse con impazienza l’arrivo della prossima tempesta capace di portarlo lontano da Itaca. Ma questa libertà ha un prezzo troppo alto che è quello di dimenticare chi si è.

L’anno da Circe e i sette anni da Calipso dove Ulisse si intrattiene nel tempo ciclico dell’amore, del buon cibo, del buon vino, il nostro eroe vive il suo tempo bloccato. Solo il ricordo è in grado di restituirgli il suo nome, il suo posto a Itaca, e quindi il suo presente. Un presente, che come abbiamo detto, è esso stesso futuro, perché solo riconciliandosi con il suo passato per mezzo del racconto, Ulisse può iniziare di nuovo a progettare la sua vita. 

Ma Ulisse non è l’unico personaggio che vive il tempo bloccato, anche Telemaco, il figlio che ha visto solo in fasce, e la moglie Penelope, che ha lasciato fanciulla e che oggi si sente prigioniera nella sua stessa casa per colpa dei vili Proci, signorotti locali che la vogliono in moglie, con il solo scopo di regnare sulla piccola isola. 

Telemaco è bloccato nel processo di costruzione della sua identità. Non riesce a riconoscersi nella figura di un padre assente. Nei minuti che scorrono alla sua destituzione come re di Itaca ad opera dei Proci, Telemaco è il ragazzo perso, che non riesce a sostituire l’imponente figura paterna perché non l’ha mai conosciuta. Così si apre l’inizio dell’Odissea: la sezione narrativa denominata “Telemachia”, il viaggio di Telemaco alla ricerca della propria identità. In questo percorso di formazione, prima alla corte di re Nestore a Pilo poi a Sparta da Menelao ed Elena (che si sono riconciliati), risultano fondamentali i racconti vissuti in prima persona da questi eroi che gli rivelano l’eroismo del padre Ulisse durante l’assedio di Troia. Racconti che permetteranno a Telemaco di ritrovarsi e riconoscersi negli occhi degli altri, nella sua somiglianza al padre in doti come l’eloquenza, l’astuzia e l’intelligenza. Ancora una volta il racconto diventa fondamentale per poter uscire dal tempo bloccato e riappropriarsi del tempo della progettualità dell’esistere: Telemaco è pronto per essere finalmente un adulto e, come dice lui stesso: “Nessuno da solo può sapere il suo seme”.

Il tempo bloccato di Penelope si esprime chiaramente nel suo fare e disfare la tela. Penelope può liberarsi dall’inerzia del presente solo sforzandosi di ricordare. Sono, infatti, necessari molti ricordi per Penelope per riallacciarsi alla linearità del tempo perduto, ricordarsi di essere non la vedova di Ulisse, ma la moglie-regina perdutamente innamorata dell’uomo che non ritorna.

Quando Ulisse torna ad Itaca, in veste di mendicante, sono passati ormai venti lunghi anni da quando è partito per la guerra. Solo il fedele cane Argo lo riconosce: la felicità nel ritrovarlo lo ucciderà istantaneamente. Ma diversamente dagli animali, gli uomini fanno più fatica a ricordare perché è uno sforzo doloroso riunificare presente e passato e per Penelope, è ancor più difficile, perché anche se nel suo cuore non ha mai perso la speranza, la sua mente ha accettato la morte del suo amato già da tempo. 

Così Ulisse per farsi riconoscere dalla fedele Penelope deve dimostrarsi all’altezza delle prove che gli si pongono davanti: la gara con l’arco, il riconoscimento della fibbia che gli chiudeva le vesti e il letto d’ulivo delle loro notti d’amore. Solo quando Ulisse, Telemaco e il servo Eumeo combattono contro i Proci, Penelope dorme finalmente una notte serena dopo lungo tempo: il ricordo di chi era si fa avanti restituendole il percorso in cui si era fermata. 

Ma visto che parliamo della dimenticanza dobbiamo fare riferimento al personaggio che più rappresenta questo tema: Eolo. Il personaggio di Eolo, dio dei venti, è la rappresentazione del tempo ciclico dell’eterno ritorno. Il padre che non volendo invecchiare costringe i figli all’incesto per il desiderio di fermare il tempo, relegarli nello stato di fanciullezza perpetuo, contestare la loro possibilità di progettare il futuro, custodirli per sempre sotto il nido paterno per puro egoismo. 

Non a caso ciò che contraddistingue il dio del vento è l’elemento gassoso, un qualcosa di ancora più inafferrabile dell’acqua, che come già anticipato è simbolo dell’oblio. Infatti, la terra (roccia) rappresenta il luogo simbolico della persistenza del tempo, la memoria; così come il mare (l’acqua) rappresenta il luogo simbolico della dimenticanza. 

E nel “prossimo episodio” di questo meraviglioso viaggio insieme, tratterò dell’affascinante figura del Ciclope Polifemo, legato per natali alla roccia ma simbolicamente alla terra oscura delle origini dell’uomo, e della vita. 

Laureata nel 2017 presso l’Università Iulm di Milano nella bistrattata facoltà di Scienze della comunicazione. Dopo la laurea mi sono assoggettata alle esigenze del mercato lavorativo nel settore della comunicazione, facendo cose che non mi interessano affatto: corsi di web design, di SEO, SEM. Ma la mia passione per la scrittura è rimasta intatta. Oriana Fallaci rappresenta il modello di giornalista che vorrei diventare. Il mio sogno è dattilografare un reportage di viaggio su una vecchia Olivetti, una sigaretta tra le dita sorseggiando un bicchiere di vino alla sua salute.

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