Winston Coe, il “portiere monco”

Il calcio sudamericano ha una storia antica, ricca di miti e personaggi che si sono intrecciati con il quotidiano, grazie soprattutto alla sanguigna passione latina che lo ha animato sin dagli albori. Molte sono le gesta che hanno avuto eco per oltre un secolo, tante altre invece si sono perdute nell’oblio, sopraffatte dai nomi altisonanti dei campioni che hanno dato lustro alla propria terra calciando un pallone in giro per il globo. Tra gli eroi dimenticati del calcio latino va sicuramente ricordato l’incredibile Winston Coe, il portiere con un braccio solo.

La nascita del “foot-ball” argentino

Una cosa va riconosciuta al popolo inglese, quella di aver esportato il foot-ball, o almeno il calcio come lo intendiamo oggi, in ogni terra toccata dai loro stivali. E non fa differenza l’Argentina, nella quale l’invasione inglese perpetuata nei secoli, costantemente in conflitto con le armate spagnole, ha fatto sì che già nella metà del XIX secolo si parlasse di ingegneri e manovali britannici che rincorrevano una vescica di mucca rigonfia di aria nel porto di Buenos Aires.

Famiglie al porto di Buenos Aires, 1890 ca.
Una famiglia al porto di Buenos Aires, 1890 ca.

Il primo campionato che l’AFA (Asociación del Fútbol Argentino) riconosce come effettivamente disputato è datato 1891. Vi parteciparono Belgrano Football Club, Buenos Aires Football Club, Old Caledonians, Rosario Railway e Saint Andrew’s, che vinse il titolo.

La squadra proveniva dalla St. Andrew’s Scots School, una scuola fondata nel 1838 da un gruppo di immigrati scozzesi e che era stata diretta, qualche anno prima del titolo, da Alexander Watson Hutton, insegnante scozzese considerato il padre del calcio argentino.

Fu lui, infatti, nel 1893, a creare la seconda federazione nella storia del Paese, la Argentine Association Football League, dopo aver fondato nel 1884 la Buenos Aires English High School dalla quale nacque l’Alumni Athletic Club, che vinse ben dieci titoli nazionali (e sette trofei internazionali) prima di sciogliersi nel 1913 e convogliare numerosi giocatori nel Quilmes, che ovviamente vinse il titolo.

 Alexander Watson Hutton e l’Alumni Athletic Club, 1908
Alexander Watson Hutton e l’Alumni Athletic Club, 1908

Nel 1903 la Federazione aveva cambiato ulteriormente nome in Argentine Football Association, sotto l’ègida del nuovo presidente, il massone inglese Francis Hepburn Chevallier-Boutell. Il campionato, benché si fosse allargato a nuove squadre (e con l’aggiunta di una seconda serie) continuava a essere appannaggio di immigrati britannici, persino nella neonata Albiceleste.

Lo storico portiere dell’Albiceleste

La prima partita della Nazionale argentina (che è anche la prima partita ufficiale tra Nazionali del Sudamerica) si tenne alle 14:30 del 20 luglio 1902 all’Estadio Paso del Molino di Montevideo. Davanti a circa ottomila spettatori l’Albiceleste sconfisse l’Uruguay, anch’esso alla prima partita ufficiale, con un netto 6 a 0.

L'Albiceleste prima del suo primo incontro ufficiale contro l'Uruguay, 20 luglio 1902
L’Albiceleste prima del suo primo incontro ufficiale contro l’Uruguay, 20 luglio 1902 (Laforia seduto a terra al centro)

Giocatori di spicco di quella squadra erano l’attaccante di origini scozzesi Jorge Gibson Brown, vincitore di oltre 20 titoli con le maglie di Alumni e Quilmes, che con un gol fissò il risultato finale, e il portiere José Buruca ‘Laforia’, soprannominato El Vasco, considerato tutt’ora il primo grande portiere argentino, nonostante la sua bassa statura. Come scrive Ernesto Escobar Bavio, autore di un libro sull’Alumni:

«Per lui era difficile persino toccare la traversa, ed era felice quando ci riusciva. Era come una molla, si estendeva impavido oltre i limiti del suo corpo. Lui e Jorge Brown scommettevano spesso su chi sarebbe riuscito a toccare più volte la traversa: Jorge con la punta dei piedi, Laforia con le mani. La sfida era impari, Jorge poteva farlo ogni volta che voleva mentre El Vasco combatteva per ogni tentativo e qualche volta, a malapena, ci riusciva».

José Buruca "Laforia"
José Buruca “Laforia”

All’epoca del debutto in Nazionale Laforia era il portiere titolare del Barracas Athletic Club, squadra fondata nel 1901 e smantellata nel 1907, che fece però in tempo a far esordire tra i pali un ragazzo che probabilmente nessun altro club al mondo si sarebbe mai sognato di mettere in porta: Winston Coe.

L’incontro tra Reformer e Barracas

Dopo che il grande Laforia si trasferì all’Alumni, poco prima dell’inizio del campionato del 1906, il Barracas si ritrovò senza portiere. Tentarono di ruotare in porta diversi giocatori, ma ogni scelta si rivelò infruttuosa. I dirigenti (per usare un termine moderno) girarono in lungo e in largo la provincia portegna, senza risultati.

Reformer Athletic Club, 1905
Reformer Athletic Club, 1905

Il 26 agosto del 1906 il club era in viaggio verso Campana (60 km dalla capitale) per giocare un incontro con il Reformer Athletic Club, una modesta squadra formata da operai di una fabbrica di frigoriferi, conosciuta però per il pessimo arbitraggio che riservava ai loro ospiti. Solo otto giocatori del Barracas si presentarono all’appello e così, durante il viaggio, tra lo stupore e il silenzio generale si fece avanti il giovane Winston.

Era una soluzione tanto rivoluzionaria quanto disperata. Sulla linea di porta si presentò così Winston Coe, uno dei membri fondatori della squadra, terzino destro, calciatore con un braccio solo. Purtroppo la scelta non ebbe i risultati previsti e il Barracas perse 11 a 0. I giornali, che confermano la presenza di Coe tra i pali, si soffermarono principalmente sull’orrida prestazione arbitrale.

Un trafiletto sulla partita tra Reformer e Barracas
Un trafiletto sulla partita tra Reformer e Barracas – ©PCiullini

L’incredibile Winston Coe, El Arquero Manco

Secondo alcune fonti però le cronache dell’epoca esaltarono la prestazione di Coe, dichiarando che senza di lui l’umiliazione sarebbe stata ben maggiore. Pare che il quotidiano La Prensa descrisse così la sua prestazione:

«Il monco Coe ha parato numerosi tiri, diventando subito un idolo. Non è virtù da poco giocare in un ruolo che prevede l’uso specifico delle mani quando se ne possiede una sola. Il suo modo di bloccare la palla, la sicurezza e la confidenza dimostrate sono degne di elogio».

Belgrano Athletic Club con Winston Coe, 1900 ca.
Belgrano Athletic Club con Winston Coe (seduto, secondo da dx), 1900 ca.

Winston era un giovane di origine irlandese, figlio di John Halstead Coe, funzionario che prestò servizio con l’ammiraglio Guillermo Brown lottando per l’indipendenza del Paese. Lavorava come impiegato in una società inglese di Buenos Aires, e amava il calcio. Impavido e determinato, non mancava certo di spirito, come dimostra la frase, diventata storica, con la quale si propose come portiere:

Se posso dare una mano sarò ben lieto di farlo. Due sapete che non posso, ma una sì. Molto volentieri.

Dopo quell’incontro, il Barracas schierò Coe ancora per due partite. Due sconfitte, per 2 a 1 contro l’Estudiantes di Buenos Aires e per 5 a 0 contro l’Alumni dell’ex Laforia, primo in classifica. In entrambe le occasioni, secondo alcune fonti la stampa esaltò le prestazioni del giovane irlandese, parlando di probabili catastrofi senza la presenza di Coe.

La Leggenda di Winston Coe

Dopo quella partita il Barracas decise di non schierarlo più tra i pali. Coe tornò in mezzo al campo e non abbandonò la squadra fino alla fine del campionato, terminato in fondo alla classifica. Campionato che si rivelò anche essere l’ultimo per la squadra di Lanús, che si sciolse senza lasciare traccia alcuna nella storia del calcio argentino.

Se non per quella assurda e bizzarra scelta, dettata dalla disperazione, di schierare tra i pali un ragazzo con un braccio solo, che con sole tre partite è diventato un eroico simbolo di tenacia. Di Winston Coe non si è saputo più nulla, se non che dopo quell’anno ha continuato regolarmente a lavorare come impiegato. Non si sa quando è nato, quando è morto né come abbia perso il braccio, ma in fondo non è poi così importante.

Classe '88 ma lo nascondo bene. Scrivo perché adoravo il suono della Olivetti di mio nonno e perché, a causa della mia pessima educazione, mi chiedo ancora oggi i perché delle cose. Ho una Laurea in Comunicazione, un Master in Drammaturgia e Sceneggiatura e non so ancora cosa voglio diventare da grande.

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