Il fascismo e gli ebrei italiani

Il rapporto tra fascismo ed ebrei italiani è stato indelebilmente segnato dalla persecuzione dei diritti e delle vite che ha come punto di non ritorno la promulgazione delle leggi razziali nel 1938. Per quanto l’adesione ebraica al fascismo possa considerarsi statisticamente simile a quella della popolazione italiana, il regime intrattenne un solido e duraturo sodalizio con alcuni esponenti di spicco del mondo economico ebraico.

Prima pagina de Il regime fascista fondato da Roberto Farinacci

Le affermazioni di ormai tre anni fa del leader di Casapound, Simone Di Stefano, a Piazza Pulita, in risposta ad una puntuale domanda sulla considerazione che il movimento neo-fascista avesse rispetto alle leggi razziali italiane (“la comunità ebraica, fino alle leggi razziali, aveva partecipato attivamente, almeno in larga parte, alla rivoluzione del fascismo, con ministri come Guido Jung, offrendo martiri squadristi caduti nella marcia su Roma, Ettore Ovazza e via dicendo”, 2 ore e 52 min) fecero sobbalzare l’UCEI (Unione delle Comunità ebraiche italiane) e larga parte degli ebrei italiani perché non corrispondenti alle acquisizioni storiografiche più recenti e quindi lontane dai dati storici ormai consolidati. L’idea di un ebraismo “fascista” accompagna e accarezza ancora oggi i pensieri di riduzionisti e negazionisti della persecuzione ebraica italiana, quasi a rassicurarli e convincerli che le disposizioni razziali del regime colpirono solamente (e non così duramente) gli ebrei non allineati nei ranghi del regime e quindi non discriminarono e spogliarono l’ebreo in quanto tale, piuttosto l’antifascista o l’irriducibile oppositore appartenente, tra le altre, anche alla minoranza ebraica.

E’ utile però fare (defintivamente, si spera) un fact-checking; infatti, se partissimo a considerare la presenza ebraica nella stagione pre-fascista, e cioè quella del periodo post-risorgimentale e liberale-giolittiano, è dato storiografico inconfutabile che la presenza ebraica si attestasse ai massimi livelli istituzionali: dalla Presidenza del Consiglio (Luigi Luzzatti – 1910-1911) ai ministeri (Giuseppe Ottolenghi – Guerra, 1902-1903 –; Lodovico Mortara – Grazia e Giustizia e Culti, 1919-1920) ai Comuni (Ernesto Nathan, a Roma, 1907-1913); in politica Giuseppe Emanuele Modigliani e Claudio Treves, esponenti socialisti di spicco; nello sport (Giorgio Treves de’ Bonfili cofondatore, primo presidente e primo allenatore del Padova).

Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal 1907 al 1913  © Wikipedia
Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal 1907 al 1913 © Wikipedia

Ma in epoca fascista, a partire dalla costituzione dei fasci di combattimento a Milano nel 1919, il comportamento della minoranza ebraica riflette l’atteggiamento e il sentire comune della popolazione italiana. Uomini come Guido Jung, imprenditore, fondatore dell’IRI e ministro delle Finanze nei governi Mussolini e Badoglio o Ettore Ovazza – banchiere, imprenditore e saggista italiano di religione ebraica, esponente del P.N.F. e fondatore della rivista La Nostra Bandiera, rappresentativa del punto di vista degli ebrei fascisti – lasciassero immaginare l’adesione convinta e sincera di una parte della upper-class ebraica, gli ebrei italiani dimostrarono “affetto” e partecipazione all’iniziale esperienza fascista e, in seguito al regime, proporzionalmente ai non-ebrei: infatti, circa 230 furono gli ebrei che parteciparono alla marcia su Roma (su 25.000 camicie nere, Giovanni Cecini 2008). Michele Sarfatti ha calcolato l’iscrizione di quasi 8 mila ebrei su un totale, censito, di 39 mila ebrei italiani tra le fila del P.N.F. chi per opportunismo e carrierismo, chi per convinzione ideologica, chi per paura, chi per dimostrare una maggiore assimilazione, chi per conformismo.

E’ utile ricordare che, sebbene rappresentassero una minoranza religiosa e sociale, gli ebrei fossero perfettamente inseriti all’interno del contesto socio-economico italiano, maggiormente nell’area centro-settentrionale della Penisola, dedicandosi a svariate attività e divenendo leader nel settore tessile e nel commercio al dettaglio; in ogni caso «gli ebrei italiani iscritti al Partito Nazionale Fascista all’epoca della marcia su Roma erano, secondo dati desunti dal censimento degli ebrei del 1938, circa il 3 per mille degli iscritti complessivi. Una percentuale molto più alta di ebrei, oltre il 10%, si ritrova fra gli intellettuali antifascisti, fossero socialisti o liberali come quelli che aderirono al manifesto di Croce del 1925». A fronte di questi dati si deve sempre considerare che, stando ai dati della Direzione Demografia e Razza del Ministero dell’Interno, al 1938, gli ebrei rappresentavano complessivamente meno dell’1 su mille della popolazione italiana.

Renzo Ravenna con Italo Balbo e Vittorio Emanuele III. Ferrara 31 ottobre 1928. Foto pubblicata su “Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945”, a cura di. Valeria Galimi, Alessandra Minerbi, Michele Sarfatti, Liliana Picciotto (Milano: Skira 2004).


Diversamente problematico dal punto di vista storiografico è invece il rapporto tra alcune personalità della media e grande borghesia industriale e il fascismo, e quindi l’adesione dei primi al movimento prima e al regime poi. L’idea di una forza ebraica preminente nel mondo economico italiano, cavallo di battaglia delle campagne antisemite nazionalsocialiste e fasciste, è stata smontata tanto da essere considerato come «feudo immaginario», citando Ilaria Pavan, costruito dalla propaganda e simultaneamente corroborato da una percezione distorta. Sono stati altresì sottolineati e distinti i tratti maggiormente opportunistici da quelli ideologici di figure come Guido Segre, Cesare Goldamann, Astorre Mayer, Ernesto, Guido e Carlo Reinach, Guido Treves, Federico Jarach, tesserato PNF dal 1926, presidente della Comunità ebraica di Milano negli anni Trenta e presidente dell’UCII (Unione Comunità israelitiche italiane) dal 1937 al 1939, e molti altri ancora che tra gli anni Venti e gli anni Trenta «affiancavano all’impegno diretto nei rispettivi settori anche una notevole familiarità e una consolidata frequenza di rapporti con gli ambienti governativi fascisti, ricoprendo spesso importanti cariche all’interno della struttura corporativa del regime. Si trattava di una oligarchia industriale e finanziaria che non solo «andava d’accordo con Mussolini per considerazioni di conservazione, di casta e di interessi», ma che in alcuni casi, provenendo dagli ambienti del nazionalismo di inizio secolo, aveva abbracciato precocemente e con convinzione il nascente movimento fascista.»

Copertina del testo Ebrei con il duce: “La nostra bandiera” (1934-1938) di Luca Ventura.
  • M. Michaelis, Gli ebrei italiani soto il regime fascista dalla marcia su Roma alla caduta del fascismo (1922-1945), La Rassegna Mensile di Israel, vol. 28, No.8 (Agosto 1962), pp.350-368.
  • M. Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Torino, Einaudi, 2002.
  • Id., Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2018.
  • L. Ventura, Ebrei con il duce: “La nostra bandiera” (1934-1938), Torino, Zamorani, 2002.
  • I. Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia 1938-1970, Firenze, Le Monnier, 2004.
  • R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 2020.

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