Four wild years

Ci sarebbero innumerevoli aggettivi per descrivere gli ultimi 48 mesi della presidenza Usa: vi proponiamo il termine “selvaggio”. La montagna di notizie, scoop, fake news, in generale di attenzioni che Donald Trump ha destato, sia ai cittadini americani che in quelli stranieri, è stata senza precedenti per un inquilino della Casa Bianca, fuori controllo. Questi giorni sono agli sgoccioli. Dopo aver scioccato il mondo intero l’8 novembre 2016, entrando nella storia sconfiggendo la rappresentante di punta di una delle famiglie più potenti dell’establishment d’America, il 78enne newyorkese si appresta a lasciare lo studio ovale. Con grandi colpe. Prima fra tutte, aver sottovalutato la pandemia. Ma sempre rimanendo sé stesso e con risultati fondamentali in economia e politica estera, dove ha contribuito in maniera fondamentali a stabilizzare un’area incandescente da sempre, includendo una delle principali micce come Israele ed i suoi più fieri nemici del campo musulmano. Qualcosa di cui, a freddo, tutto il mondo trarrà giovamento e che sarà difficile da emulare per un approccio più ideologico alle relazioni internazionali.

President Donald Trump, accompanied by Agriculture Secretary Sonny Perdue, left, gestures as he answers a question from a reporter during a meeting to support America’s farmers and ranchers in the Roosevelt Room of the White House, Thursday, May 23, 2019, in Washington. (AP Photo/Andrew Harnik)

Si fa in fretta a descrivere la Trumpeconomics: deregolamentazione senza freni, tagli di tasse ai più ricchi, agevolazioni fiscali e finanziarie di ogni genere; il risultato? La migliore economia americana di cui si abbia memoria, e che ha colpito positivamente proprio coloro che da tutta la stampa mainstream sono indicati come i maggiori bersagli di Trump: ispanici, asiatici, afroamericani, donne ecc. Un risultato eccezionale, premiato da quotazioni mai viste a Wall Street e da un clima generale che, ad inizio 2020, lo vedeva abbastanza comodamente come il favorito in vista del 3 novembre. Poi tutto è cambiato, ed i difetti, le imperfezioni e la generale inadeguatezza del personaggio sono emerse nel momento topico, dove a detta di molti sarebbe bastato un atteggiamento più cauto fin dall’inizio per contenere i danni. Nei modi soprattutto, perché ricordiamo che negli States gli Stati federati godono di ampissime autonomie in tutti i campi (tranne quelli caratteristici della sovranità di uno Stato come moneta, esercito, politica estera) e che quindi addossare tutte le colpe al governo federale è perlomeno esagerato. Teniamolo a mente, vale per qualsiasi schieramento.

Trump ha dato spettacolo nella sua perenne battaglia contro i mainstream media, ormai schiavi di un politicamente corretto e di una cancel culture che dovrebbe far riflettere tutti quelli che, come me, guardano oltreoceano con l’occhio dell’osservatore, senza nessun bias di tipo campanilistico o preconcetto, ma con ammirazione verso quella che ancora è, in modo formidabile, la più influente nazione al mondo. Ma alla lunga, la battaglia può considerarsi persa. Quei media che fin dal primo giorno lo hanno messo nel mirino, trovando una fonte di introiti economici e di pubblicità di valore enorme, hanno cominciato a far uscire notizie grosse, tutte potenzialmente compromettenti e che anni addietro avrebbero stroncato la carriera politica di chiunque: tasse non pagate, rapporti con la Russia ed altre potenze o leader stranieri che definire oscuri è un eufemismo, scandali sessuali, e che più ne ha più ne metta. Il problema per Trump è che tutti questi scoop erano irrimediabilmente fondati e si basavano su fatti realmente accaduti ed in cui il Presidente era sempre dalla patte sbagliata ed in maniera piuttosto pesante: aggiungiamoci le iperbole usate dai principali giornali, che non aspettavano altro, ed il pasticcio è fatto. Ma il vero colpo di grazia, come detto, è stato un invisibile organismo in grado di colonizzare l’essere umano e che, soprattutto ma non solo nei più anziani, può anche avere conseguenze letali.

Qui si spiega tutto: Donald Trump non è stato in grado di reagire davanti a qualcosa di enorme, che richiedeva esperienza e saggezza altrettanto grandi. Non si è mai spostato dai suoi binari retorici e comportamentali, non ha mai voluto cedere innanzi a qualcosa che sembrava poter essere più forte di lui, e sostanzialmente ha fallito. Un approccio che rispecchia quello tenuto a livello elettorale, dove l’inquilino della Casa Bianca si è sempre e solo concentrato ad aizzare e tenersi stretto i fedelissimi, gli irriducibili, senza mai voler alzare lo sguardo per tentare di allargare l’orizzonte verso nuovi adepti, mossa che sarebbe stata intelligente alla luce di un’elezione vinta grazie a 80000 voti messi insieme in tre stati in più della sua sfidante, in un paese da 330 milioni di persone. Ed ecco che allora quasi tutto il midwest andrà a Joe Biden, come i pricipali swing states (citofonare in Florida); storiche roccaforti (Texas) e fedeli campi di battaglia (Alabama, North Carolina) vacillano. Una caporetto sotto tutti i punti di vista. Aldilà di tutto, delle critiche, delle gaffe, della maleducazione e la montagna di accuse accumulate, Trump ha perso quando sostanzialmente gli sarebbe bastato fermarsi 5 minuti e cambiare i suoi toni per lo stesso periodo di tempo. Nulla di più. Ma, probabilmente, in quel caso non staremmo parlando di 2020.

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