Eutanasia, una questione ancora irrisolta

Il termine eutanasia deriva dal greco, e letteralmente significa “buona morte”.
Con questa espressione si intende l’azione con cui si procura intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia irrimediabilmente compromessa.


Un po’ di storia


Nella Grecia antica si aveva un’alta considerazione della morte, in quanto si tendeva ad esaltare la libertà di ognuno a disporre della sua vita secondo il proprio sentire.
Nel mondo classico, l’assistenza al suicidio non fu proibita fino all’avvento del cristianesimo.
Agli inizi del Novecento si era più propensi a credere che non sempre la possibilità di godere, per più tempo, di una qualità di vita dignitosa fosse legata necessariamente ad una sua maggiore durata temporale.
Negli anni ’30 nel mondo anglosassone sorsero le prime forme di associazionismo, che si svilupparono prepotentemente fino a giungere sino ad oggi dando origine alla “World Federation of Right to Die Societies” (la Federazione Mondiale delle Società per il Diritto di Morire), che riunisce tutte le associazioni pro eutanasia di tutto il mondo.
Nel 1974 alcuni umanisti, tra cui scienziati, filosofi e premi Nobel, lanciarono il manifesto “A Plea for Beneficent Euthanasia”, che riscosse molti consensi.
La finalità perseguita da queste associazioni è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica e, soprattutto, governi e parlamenti, sulla necessità di raggiungere stadi più progrediti nel riconoscimento dei diritti dei malati che versano in condizioni irreversibili e che si trovano nella fase terminale della loro esistenza.


Suicidio assistito ed eutanasia


Il suicidio assistito, ossia l’aiuto alla persona che decide di porre autonomamente fine alla propria vita, e l’eutanasia, che presuppone, invece, un passo in più rispetto al semplice aiuto arrivando a comportare che si tolga materialmente la vita ad una persona, sono due fattispecie differenti che il codice penale punisce con sanzioni diverse:assistenza al suicidio e omicidio del consenziente.
L’eutanasia richiede la presenza materiale di un medico, che somministri il farmaco letale per via endovenosa al paziente che ne fa richiesta. Il suicidio assistito, al contrario, prevede che il medico si limiti a prescrivere ed a preparare il medicinale che verrà poi assunto autonomamente dal paziente.


Eutanasia attiva e passiva, quali sono le differenze


L’eutanasia attiva presuppone che il medico o un terzo somministrino intenzionalmente al paziente un’iniezione che ne cagiona la morte.
Al contrario, nella pratica dell’eutanasia passiva, consentita anche in Italia, il personale sanitario si limita ad interrompere quelli comunemente conosciuti come trattamenti salva vita.
La sospensione delle cure è un diritto sancito dall’art. 1 della legge 219/2017, in virtù della quale: “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza che vi sia il consenso libero ed informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.


Consenso informato


È il diritto del paziente di dire la sua sulle cure che dovrà ricevere.
Ma la “battaglia” che mira a ottenere il riconoscimento del diritto che chiunque, per varie ragioni cliniche, possa decidere di porre fine alle proprie sofferenze, si è sostanzialmente spostata sulla richiesta della legalizzazione e sul valore legale della sottoscrizione, di un “testamento biologico.


Testamento biologico


E’ stato introdotto dalla legge 2 dicembre 2017, n. 219 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2018) ed è in vigore dal 31 gennaio 2018, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità ed all’autodeterminazione della persona. Rappresenta l’espressione della volontà da parte di una persona, fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o meno alle cure proposte, cosiddetto “consenso informato” , per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.


L’orientamento degli altri Paesi


I territori dell’Australia del Nord già nel 1996 avevano legalizzato l’eutanasia attiva volontaria, provvedimento che è stato però annullato due anni dopo dal parlamento federale.
In Belgio il 25 ottobre 2001 il Senato ha approvato un progetto di legge, orientamento successivamente accolto anche dalla Camera, volto a disciplinare l’eutanasia.
In Canada il suicidio assistito è stato normativamente regolamentato solo nel giugno del 2016.
La Cina nel 1998 autorizza gli ospedali a praticare l’eutanasia ai malati terminali, mentre in Danimarca i parenti del malato possono autorizzare l’interruzione delle cure.
Dal marzo 2015, in Francia invece la legge consente, ove sia richiesta dal paziente, una «sedazione profonda e continua» attraverso la somministrazione di medicinali in grado di accorciare la vita.
Il suicidio assistito in Germania non è reato, ma solo a condizione che il malato abbia la piena consapevolezza delle proprie azioni.
In Lussemburgo l’eutanasia è stata legalizzata nel marzo 2009 e nei Paesi Bassi, la stessa è stata depenalizzata:dal 1994, legalizzata effettivamente il 28 novembre del 2000 ed è entrata in vigore il 1° aprile 2002
E mentre in Spagna il suicidio assistito non è punito, in Svizzera è ammesso con limiti messi in discussione dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Negli Stati Uniti le direttive anticipate hanno generalmente valore legale, ma la normativa varia da Stato a Stato ed in Svezia, infine, l’eutanasia è depenalizzata.


Quadro normativo interno


Nel nostro Paese l’eutanasia attiva non è disciplinata da nessuna normativa, essendo perciò assimilabile all’omicidio volontario, di cui all’articolo 575 del codice penale, sanzionato con pene che vanno dai sei ai quindici anni di reclusione.
La difficoltà nel dimostrare la colpevolezza rende l’eutanasia passiva più sfuggente ad eventuali denunce.
Anche il suicidio assistito è considerato reato, ai sensi dell’articolo 580 c.p..
Tuttavia il tribunale di Milano, nel 2017, ha stabilito che “non si può ostacolare la volontà di chi vuole recarsi all’estero per ottenere il suicidio assistito” .
In seguito, nel 2019, la Corte Costituzionale in relazione al procedimento penale a carico di Marco Cappato, leader del partito radicale, ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’articolo 580 «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, essendo affetta da una malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, fermo restando che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».
La stessa Corte ha, più volte, ribadito la necessità che la materia sia oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore.

Le commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali della Camera, in accoglimento di questo autorevole sollecito, hanno espresso proprio ieri parere favorevole al testo legislativo contenente disposizioni riguardanti la morte volontaria medicalmente assistita che approderà in aula lunedì 13 dicembre per la discussione generale.


Proposte di legge


Loris Fortuna fu il primo parlamentare a presentare una legge, nel 1984, volta a disciplinare l’interruzione delle terapie ai malati terminali.
Il 13 luglio 2000, Umberto Veronesi, allora Ministro della Sanità, affermò che l’eutanasia non sarebbe dovuta essere più un tabù e che per tal motivo, era necessario intervenire tempestivamente per trovare un’adeguata soluzione al problema.
Nell’agosto 2001 i Radicali, ancora oggi convinti sostenitori del libero arbitrio degli individui anche nella fase finale della propria vita, presentarono una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, iniziativa che, nella XIV legislatura, ha dato seguito alla presentazione di diversi progetti di legge. Tra questi, si ricordano quello sul testamento biologico, quello sulla depenalizzazione dell’eutanasia, promossi dall’associazione LiberaUscita, nonché il disegno di legge promosso dalla Rosa nel Pugno.
Il dicembre 2012 è stato l’anno di una proposta di legge promossa dall’Associazione Luca Coscioni insieme a Exit e Uaar, proposta popolare che ha raggiunto le oltre 65.000 firme (numero ben più elevato rispetto alle 50.000 necessarie), risultato poi sfociato nella legge sul testamento biologico.
Nel 2018 è stata inoltre depositata una proposta di legge del senatore Matteo Mantero del Movimento 5 Stelle ed è stato anche costituito un intergruppo per il fine vita, che ha ottenuto 62 adesioni.


Fine vita


Il rifiuto del trattamento sanitario rientra nella libertà di autodeterminazione in ambito sanitario, libertà rispetto alla quale emerge il tema del “fine vita, secondo cui ad ogni persona, capace di agire, è riconosciuto il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario relativamente alla patologia di cui questa sia affetta.
Libertà di autodeterminazione in campo sanitario che assume un’importanza tale da essere riconosciuta anche a coloro che versino in uno stato di incapacità di intendere e di volere. Essa può essere esercitata anche in un momento precedente all’insorgenza della malattia o della situazione che determina lo stato di incapacità attraverso le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).
Il riconoscimento del diritto di rifiutare le cure, non equivale, tuttavia, al riconoscimento del diritto di morire, per tale ragione è importante conoscere il significato della terminologia che viene in rilievo quando si parla del fine vita.


Referendum


Da ultimo, si è dato seguito ad una raccolta di firme a sostegno di un refererendum abrogativo di alcune parti dell’articolo 579 c.p., Omicidio del consenziente, depositate in Cassazione l’8 ottobre 2021.
Referendum che tuttavia potrebbe essere rigettato dalla Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi in merito entro febbraio 2022, e che richiederebbe in ogni caso un rapido intervento del Parlamento per scongiurare un prolungato vuoto legislativo, che da anni attende d’esser colmato.
È, infatti, importante ricordare che il referendum, per sua natura, non introduce né regola il diritto al l’eutanasia, ma si limita semplicemente a depenalizzare l’omicidio assistito, in relazione al quale il farmaco letale viene assunto autonomamente dal paziente, a differenza dell’eutanasia, nella quale il medico ricopre invece un ruolo fondamentale: in quella attiva somministra il farmaco, in quella passiva sospende le cure o spegne i macchinari.
Dal gennaio 2018 l’eutanasia passiva è regolata dalla legge sul testamento biologico.
Per Cappato è “certo che per avere regole chiare che vadano oltre la questione dell’aiuto al suicidio e regolino l’eutanasia in senso più ampio è necessario l’intervento del popolo italiano, con il referendum che depenalizza parzialmente il reato di omicidio del consenziente”.
Sono quattro le condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale affinché il suicidio assistito possa essere autorizzato: che il paziente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali; che sia affetto da una patologia irreversibile; che la sua malattia sia fonte di sofferenze intollerabili; che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
A verificare la sussistenza dei presupposti necessari per procedervi, è un gruppo di medici specialisti nominati dall’ASUR Marche, Comitato etico ed organismo indipendente formato da medici e psicologi, investito dalla responsabilità di garantire la tutela dei diritti dei pazienti, che si è pronunciato recentemente anche sul caso di Mario, il primo paziente che potrà accedere al suicidio assistito dopo la sentenza “Cappato-Dj Fabo” emessa dalla Corte Costituzionale nel 2019.
Questi ha 43 anni ed è paralizzato dalle spalle ai piedi dal 2010, a causa di un incidente stradale.
Nell’agosto del 2020, lo stesso aveva ricevuto l’ok dalla Svizzera a recarsi nel paese, dove il suicidio medicalmente assistito è consentito, per porre fine alla propria vita.
Dopo anni di battaglie estenuanti, dovute alla paralisi del Parlamento, che a tre anni dalla richiesta della Corte Costituzionale non riesce ancora a legiferare sul punto, Mario ha perciò scelto di seguire l’iter indicato dalla Corte Costituzionale.
Il via libera ha avuto un iter travagliato, essendo arrivato dopo il diniego dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (ASUR), una prima e una seconda decisione definitiva del Tribunale di Ancona e ben due diffide legali all’ASUR Marche.
In sostanza, avendone i requisiti richiesti questi potrà accedere all’autosomministrazione di farmaci letali, in virtù di una sentenza della Corte Costituzionale che, pronunciatasi sul caso Dj Fabo, ha dichiarato non punibile, chi agevoli il suicidio di qualcun altro.
Una sentenza destinata a fare giurisprudenza, che apre la strada alla legalizzazione della pratica, in attesa che il legislatore normi la materia.

Piergiorgio Welby (Wikimedia Commons)


Casistiche in Italia


Dalla primavera del 2000 tre sono stati numerosi i casi che hanno riempito le pagine dei quotidiani, dando così origine ad un acceso dibattito, non solo a livello istituzionale, ma anche tra l’opinione pubblica.
Il 23 maggio un giovane di Viareggio aiutò il suo amico Stefano del Carlo a metter fine alle sue sofferenze con una dose di insulina e, nonostante i genitori stessi del ragazzo abbiano definito il suo gesto «un grande atto di amore», questi è stato condannato a quattro anni di reclusione.
Condanna a sei anni e mezzo comminata, negli stessi giorni, ad un uomo di Monza, per avere staccato i fili che pompavano aria nei polmoni della moglie, tenendola in vita, Iin seguito l’uomo venne assolto in appello dall’accusa di omicidio volontario premeditato.
In quella circostanza, i giudici stabilirono che l’ingegnere Forzatti, staccando la spina del respiratore al quale era attaccata la moglie, non ne provocò il decesso, in quanto, a loro avviso, la donna era già morta.
È ancora nella memoria di tutti noi, nel maggio 2001, la storia di Emilio Vesce, storico militante radicale.
Quei giorni infiammarono la campagna elettorale per via delle dichiarazioni del figlio contro la nutrizione artificiale, «non più attuata come terapia ma come accanimento terapeutico».
Ricordiamo tutti il caso di Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, oramai imprigionato nel proprio corpo, il quale rivolse il suo appello all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per poter ottenere l’autorizzazione all’eutanasia.
La morte di Piergiorgio Welby, suscitò una forte ondata di commozione in tutto il Paese.
Anche Giovanni Nuvoli, chiese che gli fosse staccato il respiratore che lo teneva in vita.
Messaggio inascoltato il suo, che lo costrinse a non assumere più né cibo né acqua ed a lasciarsi morire di fame e di sete.
Il caso di Eluana Englaro, completamente immobile e priva di coscienza dal 1992, ha tenuto tutta l’opinione pubblica con il fiato sospeso per molti anni.
Suo padre, Peppino, stanco di vederla tenuta in vita artificialmente, contro la volontà della figlia stessa, che qualche tempo prima gli aveva espresso il suo volere nel caso in cui fosse stata costretta ad uno stato vegetativo, di non voler continuare a vivere attaccata ad un respiratore, intraprese una serie di iniziative legali per sospendere le cure, senza alcun successo per molti anni.
Nell’ottobre 2007, la Corte di Cassazione stabilì che l’interruzione delle cure potesse essere ammessa quando il paziente si trova in uno stato vegetativo irreversibile e qualora, in precedenza, avesse manifestato la propria contrarietà a tali cure.
La Corte d’Appello, investita della questione dalla Cassazione, nel luglio 2008, autorizzó il padre di Eluana all’interruzione dei trattamenti di idratazione e di alimentazione forzata.
Eluana si è spenta nel febbraio 2009 in una clinica di Udine, dopo che il governo Berlusconi aveva tentato di emanare un decreto legge ad hoc per impedire il compimento dela volontà della giovane.
Nel novembre 2010, il noto regista Mario Monicelli, affetto da malattia giunta all’ultimo stadio, si suicidò lanciandosi dal quinto piano dell’ospedale presso il quale era ricoverato.
A distanza di un anno dal tragico episodio, fu l’ex parlamentare Lucio Magri a scegliere il suicidio assistito in Svizzera e nel 2013 a far notizia furono a loro volta il caso di Piera Franchina, la quale si recò in Svizzera per porre fine alla propria vita In ottobre e del noto regista, Carlo Lizzani, che ha scelto di togliersi la vita insieme a sua moglie, emulando il dramma di Giulietta e Romeo.
Nel 2016, infine, il giudice tutelare del tribunale di Cagliari, in accoglimento dell’istanza promossa da Walter Piludu, ex presidente della Provincia, malato di Sla, che chiedeva l’interruzione delle cure, ha stabilito che «è un diritto rifiutare le cure e andarsene senza soffrire: sedati per non sentire ansia o dolore».
Il 27 febbraio 2017 è morto in Svizzera Dj Fabo, il 13 aprile Davide Trentini., l’11 ottobre Loris Bertocco. Tutti casi di suicidio assistito.
La vicenda di Dj Fabo ha avuto anche un risvolto giudiziario, essendo stata disposta l’imputazione coatta per il dirigente radicale Marco Cappato, che l’aveva accompagnato a Zurigo per dare esecuzione alla sua ultima volontà.
Nel 2018 la Corte costituzionale, ha dapprima rinviato la decisione di un anno invitando il parlamento a intervenire ed in seguito, vista l’inerzia di quest’ultimo, ha assolto Cappato, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale.


La posizione cattolica


La visione laica in merito ad una probabile legalizzazione del suicidio assistito dei radicali e, più in generale, delle associazioni che sostengono la tesi in base alla quale ciascun individuo ha diritto di scegliere della propria esistenza, si scontra duramente con quanto è invece sostenuto dalla Chiesa cattolica, secondo la quale la vita è stata donata da Dio e solo lui può disporne: per questa ragione l’eutanasia è considerata omicidio, e soltanto la fine dell’accanimento terapeutico viene ritenuto lecito.
In passato, la sofferenza talvolta era ritenuta come il “partecipare” alla passione di Gesù, tant’è che a tutt’oggi l’Italia è clamorosamente indietro nella somministrazione di morfina ai malati terminali.
Tuttavia non tutto il mondo cristiano ha questa concezione.
Diverse chiese protestanti hanno, infatti, assunto posizioni più liberali e alcune chiese minori riconoscono apertamente il diritto dell’individuo di disporre della propria vita.


Tiriamo le somme della questione


Le vicende sopra menzionate sono strazianti dal punto di vista di chi ne è direttamente coinvolto.
Storie che dimostrano, ancora una volta, l’assoluta inadeguatezza della nostra legislazione rispetto all’evoluzione dei tempi.
I numerosi progetti di legge presentati in parlamento, nel corso degli anni, sono miseramente naufragati e nulla è ancora stato fatto per dar risposta ad una richiesta sempre più frequente da parte di chi chiede semplicemente di poter avere una morte dignitosa.

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