Il Corsetto: da costrizione a libertà
L’abito non fa il monaco. Questa espressione ci induce a non giudicare le persone dal loro modo di vestire, ma spesso ciò che indossiamo è lo specchio della nostra persona. I colori possono esprimere la nostra libertà espressiva, una scarpa può raccontare le tue idee politiche, anche il vestirsi neutro esprime un messaggio. Insomma, i vestiti non servono solo a coprirsi. La moda, spesso considerata effimera e superficiale, è in realtà lo specchio della società. Ci sono una serie di elementi iconici che hanno fatto la storia e che sono diventati simbolo di lotte e cambiamenti sociali. In questa rubrica “La Moda Sociale” vedremo come certi elementi di vestiario hanno cambiato il corso della storia.
Il corsetto, divisibile tra costrizione e liberazione, un elemento dell’abbigliamento femminile che fino all’inizio del 20esimo secolo era di uso comune se non essenziale per far sì che una donna fosse considerata “rispettabile”.
Il corsetto storicamente non ha un vero e proprio “inizio”: qualcosa di simile, per sostenere il seno, è sempre esistito dall’Antica Grecia almeno, ma solo dalla metà del 1500 si arriverà a chiamarlo con il suo nome. Caterina de Medici è la prima donna a indossare un corsetto come lo immaginiamo, ma con nessuno scopo di costrizione. Probabilmente era solo usato per modellare il corpo e avere una maggiore vestibilità degli indumenti. Essendo Caterina non solo nobile ma soprattutto la moglie del Delfino di Francia, il suo uso del corsetto diventò moda. Tutte le donne che volevano sentirsi come una regina iniziarono ad indossare il corsetto proprio come la loro “pop star” del tempo.
Purtroppo ciò che è bello viene spesso preso e rimaneggiato dal patriarcato. Quello che era semplicemente una moda, passa a diventare una gabbia nel vero senso della parola. Il corsetto viene così ridimensionato dagli uomini, trasformandolo in un metodo di controllo della donna. Era praticamente obbligatorio per una donna indossare il corsetto, per avere una buona postura ma soprattutto per sorreggere il gracile e fragile corpo femminile, altrimenti troppo debole per sostenersi da solo. Da studi poi seguenti, questo è risultato vero ma solo perché l’utilizzo prolungato del corsetto impediva lo sviluppo dei muscoli per effettivamente stare in una posa eretta e corretta.
Anche se il corsetto fino al diciannovesimo secolo era considerato l’elemento distintivo di una donna rispettabile, è sempre stato in qualche modo legato a un senso di feticismo, ovviamente maschile. Innanzitutto era legato alla sfera sessuale perché era essenzialmente un capo intimo, ma piaceva l’idea di poter avere un controllo sul corpo della donna. L’usanza del tigh-lacing nasce proprio in epoca vittoriana, usanza con cui gli uomini potevano esercitare un dominio quasi vitale sul corpo delle donne. Stringendo al massimo il corsetto si poteva impedire una naturale respirazione avendo così il totale controllo sulla vita di qualcuno.
Non giudichiamo le usanze sessuali, ma concentriamoci sul discorso più ampio. Certamente il tigh-lacing è usato ancora oggi e non solo sulle donne, ma al tempo questa usanza, portata sul tema sociale, era un modo metaforico per poter controllare le donne non solo nella sfera pubblica ma pure nella sfera intima, dove la libertà dovrebbe essere presente e necessaria.
Durante il femminismo della seconda ondata negli anni ‘70, tutti gli elementi di costrizione vestiaria femminili furono ripudiati e letteralmente bruciati. Il corsetto era già stato abolito da tempo, ma suo figlio il reggiseno era ancora ben presente. Solo con il femminismo della terza ondata degli anni ‘80 e ‘90 le cose iniziano a cambiare. Le donne diventano consapevoli del loro valore e che possono essere libere ed esprimersi come vogliono e decidono di sovvertire i simboli, che un tempo erano elementi di oppressione del patriarcato.
Non è un caso che nel punk trasgressivo di Vivienne Westwood ci siano i corsetti, o che Madonna venga quasi arrestata per aver indossato un corsetto esagerato e provocatorio su un palcoscenico (leggi di più qui). Fare proprio un elemento di oppressione ti rende libera, ti fa sentire come se stessi prendendo in giro chi ti ha sempre messa da parte. Il corsetto è stato indubbiamente un metodo di oppressione patriarcale, ce ne siamo liberate grazie all’esigenza di dover lavorare e essere comode durante la Seconda Guerra Mondiale, ma dopo siamo state capaci di riprenderlo e usarlo proprio contro chi ce lo voleva imporre.
Il corsetto è stato quindi un metodo di controllo sociale e sessuale imposto da una società patriarcale, ma nell’ultimo secolo siamo state in grado di appropriarcene e usarlo proprio contro quella società retrograda che ci voleva controllare.
Oggi il corsetto sembra fare il suo ritorno nella moda di tutti giorni, dimostrando proprio che è ormai un simbolo di rivendicazione femminile. Indossandolo ti senti immediatamente più forte e potente, e allo stesso tempo sai di indossare un qualcosa che ha una storia, un’importanza vitale per l’emancipazione femminile. Tuttavia è difficile non sentire gli occhi addosso mentre lo si porta. Ancora nel 2021 la gente pensa che se indossi un corsetto come top, o sei in biancheria intima oppure ti vesti da dominatrice sessuale.
E quindi cosa simboleggia oggi il corsetto? Passa da essere un modo per controllare il corpo della donna a essere la massima espressione di libertà e trasgressione. E non riguarda nemmeno più solo le donne, ma anche la comunità LGBTQAI+. Il corsetto viene usato abitualmente anche dalle drag queen che per sentirsi più libere e femminili usano proprio lui, l’elemento che più ha costretto le donne nella storia. Non credo sia un caso. Anche la comunità drag, come quella femminile, ha deciso di cambiare le regole in tavola rispetto al significato iniziale dell’indumento.