Videogiochi indie - indiepocalypse

Indiepocalypse, la “bolla” dei videogiochi indipendenti

Al giorno d’oggi (quasi) chiunque può creare un videogioco. Ma come? E soprattutto, ne vale ancora la pena?

Premessa numero uno: non è mai stato così facile creare un videogioco

Se in origine videogiochi erano creati in laboratori da persone con enormi conoscenze scientifiche, al giorno d’oggi chiunque abbia un computer può mettere insieme un gioco anche di un certo livello. GameMaker, Unity, Godot, Unreal Engine – strumenti che una volta erano a disposizione solamente di esperti al soldo di case di sviluppo – sono ormai evoluti e accessibili a chiunque, con barriere monetarie minime e dalla difficoltà d’apprendimento estremamente variegata.

Che tu sappia sviluppare o no, i tempi in cui per fare un videogioco in solitaria bisognava pagare licenze costosissime o scrivere migliaia di righe di codice da zero sono passati; al giorno d’oggi esistono ambienti di sviluppo pensati appositamente per giochi, interfacce ad icone, se non addirittura giochi stessi in grado di lasciarti creare giochi al loro interno.

Dreams, in uscita a febbraio, è un gioco che permette di sviluppare giochi attraverso la stessa PlayStation. Inizialmente disponibili solamente tramite il sistema creato dal gioco, gli sviluppatori hanno dichiarato la loro intenzione di voler rendere i giochi accessibili anche tramite piattaforme esterne. Copyright Media Molecule

Queste condizioni vantaggiose permettono anche a giovani e giovanissimi di cimentarsi con lo sviluppo, senza dover per forza aver conseguito una laurea in informatica. Ma, soprattutto, sono disponibili a un prezzo estremamente ridotto – se non addirittura gratuito, tramite accordi di licenza che permettono di mettere in vendita un gioco realizzato gratuitamente se sotto una certa soglia di vendite.

Questa soglia è parecchio alta: Unity, motore grafico 3D favorito nel mondo del gioco indie, ne permette l’uso gratuito a condizione che le entrate siano al di sotto dei 100.000$ annui, che siano tramite vendite o finanziamenti. L’obiettivo è venire incontro agli sviluppatori di piccole dimensioni, se non singole persone, che non hanno un publisher in grado di finanziarne gli sforzi (e non hanno la possibilità di trovarlo).

Questi sviluppatori solitamente ricadono all’interno del mondo degli indie. Abbreviatura di independent developer, il termine è estremamente vago e va dall’indicare il singolo programmatore da cameretta fino a studi di decine di persone che gestiscono quantità anche significative di denaro. Il termine ombrello va semplicemente a definire uno sviluppatore che non è al soldo di un publisher (EA, Ubisoft, tutti i grandi e medi nomi del settore), e non indica in realtà le dimensioni – nonostante il modo in cui viene usato. È una definizione vaga, ma in questo caso ci occupiamo degli sviluppatori più minuscoli del settore.

GameMaker Studio è un motore grafico fornito di un sistema a trascinamento di icone per permettere di sviluppare la logica di un gioco. Nonostante la fama di strumento per principianti, è stato utilizzato per creare successi come Hyper Light Drifter, Hotline Miami e Undertale, l’ultimo dei quali conta milioni di copie vendute. Copyright YoYoGames

Premessa numero due: non è mai stato così facile pubblicare un videogioco.

Nel 2012 Steam, la principale piattaforma di distribuzione di giochi digitali su computer, annunciò la nascita di Steam Greenlight. Questo servizio permetteva agli sviluppatori di inserire i propri giochi in un database aperto al pubblico, che avrebbe votato quelli più interessanti; l’azienda avrebbe quindi venduto i più votati tramite il suo negozio online, rimuovendo la barriera creata dagli editori per poter raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quanto fosse possibile in precedenza. Il tutto a seguito di una piccola tassa di 100$ per gioco inserito.

Dopo una settimana, il servizio era stato invaso da centinaia di videogiochi in cerca di voti, una pioggia di scopiazzature e giochi di livello molto basso che sfruttavano ogni trucco per manipolare le votazioni. Sei mesi dopo, in seguito anche alle critiche legate al ridottissimo numero di giochi approvati, lo stesso fondatore di Steam parlò di come volesse rimuovere completamente l’idea di avere un distributore tra sviluppatore e cliente, lasciando che il sito diventasse non più un negozio, ma un mercato aperto dove chiunque potesse vendere qualunque gioco.

Infine nel 2017, ogni sembianza di gestione delle vendite si sciolse come neve al sole e venne introdotto Steam Direct; oggi chiunque sia disposto a pagare 100$ di tasca sua (recuperabili una volta superata una soglia di vendite) può caricare un gioco online, a patto che non abbia contenuti dannosi o illegali. La pioggia si trasformò in inondazione.

IMSCARED, dell’italiano Ivan Zanotti, venne approvato tramite Greenlight nel 2015. Gioco horror estremamente ben curato, vede il protagonista farsi strada in scenari sempre più inquietanti mentre una forza misteriosa altera file nel suo computer. Copyright Ivan Zanotti

Steam Greenlight e Steam Direct non sono nè il primo nè l’unico esempio di questo processo, ma sono di sicuro il più eclatante in termini di dimensioni. Una volta che la barriera che separa un creatore dalla distribuzione è rimossa, il mercato viene inondato da prodotti di livello ridicolmente basso – come chiunque abbia mai fatto shopping online sa bene.

E nonostante ci fossero e ci siano alternative a Steam, primo fra tutti Itch.io per i piccoli sviluppatori, il dominio di questo sito sul mercato è rimasto incontrastato. Aprire quegli scaffali digitali a chiunque segnò un cambiamento significativo: se era possibile lanciare giochi online sin dalla nascita del web, adesso è anche possibile connettersi direttamente a un’audience con il portafogli in mano, invece di gettare la lenza e incrociare le dita.

Conclusione: il mercato è sovraffollato.

Cosa succede quando i costi di produzione di un prodotto si abbassano vertiginosamente e le barriere della distribuzione scompaiono? Succede che il mercato si riempie di concorrenti, la maggior parte dei quali dalla qualità infima, e i prezzi vengono spinti costantemente verso il basso. In precedenza, e parzialmente anche durante l’era Greenlight, i pochi giochi indie che riuscivano a infilarsi nel mondo dei “grandi” potevano godere di un successo spropositato, ma queste situazioni si verificavano in un mercato completamente diverso da quello attuale. Oggi, un videogioco indie potenzialmente di successo equivale a una goccia in un oceano su un pianeta ricoperto completamente d’acqua, e l’impegno richiesto per farsi notare è estremamente maggiore.

Daniel Cook, dal suo blog su GamaSutra, dipinse un tetro ritratto della situazione a fine 2016. L’esplosione del mondo indie viene identificata verso la fine degli anni 2000, quando Microsoft, Steam e altri colossi del settore iniziarono a investire pesantemente nella distribuzione online – distribuzione che richiedeva giochi, giochi che venivano quindi ricercati e spinti verso il pubblico. Pubblico che aveva a disposizione un’offerta limitata, piazzando quindi i pionieri del settore in prima fila per conquistare i cuori (e i portafogli) degli appassionati. Nel caso tu sia interessato al mondo dello sviluppo, è una lettura obbligatoria – e decisamente troppo lunga per essere riassunta in questo articolo.

In questo grafico di Statista, tratto da dati di Steam Spy, si può vedere di persona la crescita vertiginosa del numero di giochi pubblicati nel decennio appena concluso. Copyright Statista

Molte delle sue previsioni si sono rivelate veritiere, in particolare quella sui giochi come servizi continuati, sempre aggiornati e che monopolizzano l’attenzione del giocatore. E, per le persone interessate ai numeri, The Verge ha pubblicato una lunga serie di interviste che studiano quanto effettivamente abbiano reso agli sviluppatori i loro videogiochi. I numeri sono abbastanza bassi, molto più di quanto il pubblico sospetta.

Questo è quello che retroattivamente è stato chiamato Indiepocalypse: una contrazione del mercato dei giochi indipendenti, una perdita di spazi in cui operare e una progressiva chiusura alla promozione del settore, se non addirittura aperta ostilità – molti sviluppatori denunciano trattamenti negativi da parte di Steam, le cui politiche di posizionamento dei giochi premiano fortemente gli studi di grandi dimensioni. Altri sono contrari al concetto, sostenendo che una contrazione del mercato sia normale dopo l’esplosione di inizio millennio, liquidando le analisi come semplice allarmismo.

Che il termine calzi o meno, la conclusione di molti sviluppatori al giorno d’oggi è abbastanza ovvia: per lanciarsi nel mondo dello sviluppo indipendente bisogna avere una rete di sicurezza. Vivere con i genitori, o sviluppare nel tempo libero dopo il lavoro, sembrano le strade principali; qualunque attività che possa portare un flusso costante di denaro o una riduzione significativa delle spese sembra necessaria, o si rischia di finire i fondi (e i risparmi) in maniera fulminea.

Giochi indie: solo un hobby?

Ciò non vuol però dire che il settore sia tutto da buttare. In particolare, c’è ancora la possibilità di essere in prima fila, a patto che si lanci al momento giusto. Nintendo Switch è l’esempio più recente: la corsa al portatile giapponese è stata fondamentale per il successo di molti giochi indie, e in alcuni casi ha addirittura ribaltato la fortuna di certi titoli, rendendo famosi piccoli studi a un passo dalla bancarotta. Tutto ciò non perché il sistema di per se sia speciale, ma semplicemente perché la mancanza di concorrenza ha puntato i riflettori sui pochi presenti sul palco.

E questo ci porta al motivo per cui è importante parlarne ora. Se la stessa Switch si sta riempiendo di un sacco di prodotti – Nintendo stessa ha dichiarato di voler aprire i cancelli, ahinoi, invece di selezionare solo i giochi più meritevoli – si aggira all’orizzonte un’occasione estremamente ghiotta…. O almeno questo è quello che avrei scritto in condizioni normali.

Quando questo articolo è stato pubblicato in origine, si stagliava all’orizzonte il lancio delle nuove console – PlayStation 5, Xbox Series X, una eventuale nuova versione di Nintendo Switch – ma, come ben sa chiunque abbia vissuto gli ultimi due anni, il COVID ha cambiato un sacco di cose a livello industriale e di commercio.

L’idea è semplice: quando esce una nuova console i giochi disponibili sono pochissimi, e di conseguenza chi riesce a garantirsi un posto in prima fila può vendere moltissime copie del suo gioco a giocatori in cerca di giochi per riempire i buchi.La realtà è stata ben diversa. La crisi dei semiconduttori e le gambe tagliate ai fornitori internazionali dalla pandemia hanno creato enormi problemi per la distribuzione: è ancora impossibile trovare una PlayStation 5 nei negozi in Italia (nonostante Sony registri il tutto venduto, l’azienda non riesce a produrre abbastanza console per soddisfare la domanda), e l’ipotetica e tanto rumoreggiata nuova versione di Nintendo Switch non è mai nemmeno stata annunciata. Microsoft, che non ha altrettanti problemi nella distribuzione, si muove verso un futuro alla Netflix dei videogiochi, con un abbonamento che garantisce accesso a un’enorme libreria disponibile sia per console che per computer – una scelta che rischia di rendere il problema del sovraffollamento ancora peggiore. Persino Sony sta iniziando a spostare alcune delle sue esclusive su PC, forse spinta dai problemi pratici, forse dall’intenzione di orientarsi verso un futuro meno hardware e più software.

Insomma, non sappiamo cosa potrà succedere in futuro, e qualunque previsione rischia di essere ribaltata nell’arco di mesi. Se a tutto questo si aggiunge una enorme consolidazione del settore, con (tra i molti) Microsoft che negli ultimi anni ha speso miliardi di dollari per comprare studi a destra e a sinistra, il futuro potrebbe non essere roseo per le realtà più piccole. La persona singola che crea il progetto di passione resterà sempre, ma potrebbe esserci sempre meno spazio per la fascia media. Bisognerà stare a vedere.

Stefano Zocchi (1992), nato analogico e cresciuto digitale. Laureato in Lettere Moderne e sfociato accademicamente nell'editoria multimediale, scrive per lavoro e per passione di videogiochi e tecnologia, con un particolare interesse per il potenziale narrativo ed economico del settore. A tempo perso crea giochi indipendenti e musica

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