La condanna di Navalny
Questo approfondimento è stato realizzato con il contributo di Antonella Scott, vice caporedattrice del Sole 24 Ore ed esperta di politica russa.
Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo della condanna di Aleksej Navalny e di com’è stata ritratta la sua figura.
Partiamo dai fatti. Il 2 febbraio 2021 Aleksej Anatolevic Navalny, il principale oppositore politico di Putin, è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere, un esito prevedibile che deriva dall’aver violato la libertà vigilata, stabilita da una sentenza del 2014. Negli ultimi cinque mesi il blogger e attivista si trovava in Germania, ricoverato in ospedale, a seguito di un avvelenamento. I sospetti ricadono sui servizi di sicurezza russi. Come per la giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja e per l’agente segreto Aleksandr Valterovic Litvinenko nel 2006 e nel 2018 per l’ex agente Sergej Skripal e sua figlia Julija, quasi certamente ai sospetti faranno seguito conferme ufficiali.
La condanna del 2014 era stata sospesa, ma negli scorsi giorni la procura ha chiesto di trasformarla in carcere effettivo. La domanda legittima è: perché proprio adesso? Indubbiamente questa svolta terrà Navalny lontano dalle prossime elezioni parlamentari, che si svolgeranno in autunno, e metterà a dura prova la massa dei suoi sostenitori. Per avere un quando più completo, dobbiamo però capire chi sia Navalny.
Ha 44 anni, una laurea in legge e una in finanza e ha dato vita a una lunga serie di progetti per smascherare la corruzione delle grosse aziende di stato. A partire dal suo blog, ha portato avanti delle inchieste che gli hanno causato numerosi processi, come quello in cui è appena stato coinvolto. Parallelamente a ciò, si è svolta la sua scalata politica. Inizialmente si è inserito nel partito liberale Yabloko, da cui venne espulso per posizioni definite xenofobe, come quelle espresse in un video sul suo canale YouTube in cui paragona i militanti del Caucaso, dalla pelle scura, a degli scarafaggi.
In seguito ha fondato il Movimento Nazionale Russo, «un partito “medio nazionalista” che mira a difendere i posti di lavoro russi rispetto a quelli degli immigrati» secondo Antonella Scott, vice caporedattrice del Sole 24 Ore ed esperta di politica russa. A partire dal 2008 inizia il suo lavoro di anticorruzione per smascherare le frodi statali. Il suo partito, Russia del Futuro, è stato tra i pochi a opporsi all’annessione della Crimea. Si candidò poi come sindaco di Mosca e, nel 2018, puntò anche alla presidenza.
È facile appellarlo come xenofobo, ma le notizie pubbliche non sono del tutto trasparenti. «La realtà è più sfumata e non si sa mai abbastanza», ricorda Antonella Scott. Si tratta quindi di una figura controversa, piena di ombre e difficile da comprendere appieno, per il momento. Vediamo come i giornali italiani hanno raccontato la sua condanna.
Il Corriere della Sera apre l’articolo con le parole dello stesso Navalny, poste in evidenza nel titolo e quindi avvalorate: «“Putin è un avvelenatore”». Questo incipit mostra che il focus dell’attenzione si è concentrato soprattutto sull’avvelenamento di Navalny, avvenuto lo scorso agosto e considerato dal governo russo una montatura dei servizi segreti occidentali. È una questione spinosa perché, nonostante la ricostruzione di alcune testate giornalistiche e l’accusa diretta dall’oppositore a Putin, non ci sono certezze ma solo grandi interrogativi insoluti rivolti al Cremlino.
La Repubblica, invece, decide di concentrarsi su un altro nucleo tematico. Anche in questo caso il titolo riporta le parole di Navalny, «Non metterete in cella la Russia», ma il resto dell’articolo prende spunto dal saluto “col cuore” fatto alla moglie prima di essere scortato fuori dal tribunale dalle guardie. La relazione tra l’oppositore e Yulia Navalnaya, tristemente citata solo con il nome proprio, è diventata infatti uno dei centri attorno a cui ruota la sua fama mediatica ed è stata eletta a simbolo dell’amore che resiste agli ostacoli. Gran parte dell’articolo di Repubblica si occupa di questo aspetto, che non è secondario per la costruzione del personaggio di Navalny e per comprendere il sostegno che sta ricevendo sui social media. Lo stesso fa La Stampa, con tanto di video in apertura in cui i due coniugi si salutano prima della separazione.
Osservando i loro profili online e il modo in cui si relazionano con il pubblico, sembra quasi di poter entrare nella loro vita, di conoscerli da vicino. Si assiste a una grande narrazione romantica che prevale sulle azioni di Navalny del passato e sulla discussione attorno a chi possa finanziare il suo progetto. In questi ultimi giorni, dopo l’avvelenamento, il ritorno in Russia e la condanna, l’attenzione si concentra sul loro legame e tutto ciò ne aumenta la popolarità, dentro e fuori la Russia. Anche in questo caso, secondo Antonella Scott, «bisogna però considerare il sostegno rivolto a Navalny con uno sguardo più ampio. Non ha mai raggiunto livelli di popolarità alti come in questo periodo, ma Putin ha ancora dalla sua parte l’appoggio del 53% della popolazione». Per comprendere il successo di Navalny bisogna tenere a mente questi dati, che non appiattiscono il fenomeno in una narrazione bidimensionale ed esclusivamente limitata alle bolle mediatiche.
L’attenzione data alla relazione con Navalnaya, densa di pathos e di emotività, è inoltre in contrasto con le violenti proteste a favore dell’oppositore russo e le dure conseguenze per chi manifesta. I suoi sostenitori, giovanissimi, subiscono una forte repressione. In molti stanno perdendo il lavoro o non vengono ammessi alle università. La vera domanda sul futuro della politica russa è: riusciranno a mantenere viva questa spinta al cambiamento nei mesi e negli anni a venire o scemerà? È un nodo cruciale e non ci sono risposte certe. Indubbiamente parlare del personaggio di Navalny e della sua relazione d’amore fa più notizia. Proprio sulle proteste si chiude l’articolo del Post, una delle poche testate ad aver approfondito questo lato dei complessi cambiamenti che la politica russa sta vivendo oggi.
Che profilo di Navalny emerge da tutto ciò? È indubbiamente una figura complessa. Il passato molto vicino alle correnti nazionaliste entra in collisione con il contrasto alla corruzione e, soprattutto, con le modalità con cui lo stesso Navalny viene visto, anche a livello internazionale, grazie a questo lavoro: un paladino e un portavoce del cambiamento russo. Sembra esserci una costante nel racconto mediatico: la sua figura viene appiattita su alcuni aspetti al limite tra i pubblico e il privato (l’avvelenamento e la relazione coniugale) e spostata più a destra o a sinistra a seconda delle narrazioni, concentrandosi più sul personaggio che sul contesto politico. La narrazione fatta dai giornali, inoltre, cambia nel corso del tempo. Significativi a riguardo sono due articoli della Stampa, usciti a distanza di sette anni, in cui Navalny viene ritratto prima come blogger xenofobo e poi come il Nelson Mandela russo. È però solo un esempio significativo di quanto, in mancanza di informazioni trasparenti e davanti a un fenomeno complesso, la figura dell’antagonista di Putin sia stata ridotta a caratteristiche che fanno leva sull’emotività di chi legge. Sul suo personaggio si è poi concentrato anche il racconto dell’intero movimento di opposizione.
Navalny, anche grazie a una strategia comunicativa efficace, ha convogliato su di sé il dibattito e l’attenzione della stampa. Ora bisogna vedere se, mentre lui sconta la condanna, i suoi sostenitori rimarranno attivi anche sul lungo periodo.