LEGO e lo stato dell’occupazione femminile

Rebuild the World è il nome della campagna pubblicitaria e di sensibilizzazione che LEGO ha lanciato nel 2020. All’interno di questo progetto, c’è uno spazio dedicato ad avvicinare il più possibile le bambine alla creatività e all’imprenditorialità. Qual è il legame tra questa iniziativa e lo stato dell’occupazione femminile in Italia? Comprendiamolo attraverso i dati più aggiornati.

Alexa Meade presenta il progetto Rebuilt the World

L’ideatrice di Rebuild the World è l’artista Alexa Meade, che si occupa di body painting, una tecnica pittorica tramite cui stende i colori direttamente sui corpi per creare un effetto di bidimensionalità. All’interno del video promozionale della campagna dice:

Per me la creatività è avere una domanda ma non conoscerne la risposta. È qualcosa che deve venire da te, fuoriuscire da te. Devi usare la tua immaginazione per renderla reale.

Lo scopo dell’iniziativa è proprio rivalutare la centralità della dimensione creativa e utilizzarla non solo per fini ludici, ma artistici, formativi e, in futuro, professionali. A ciò si aggiunge favorire il dialogo intergenerazionale, perché quando ci si rivolge all’infanzia, si sta parlando all’intera società, che è spinta a farsi carico dei bisogni e delle sfide degli adulti del domani.

All’interno di questo progetto è compresa anche l’iniziativa Future builders, che si apre con il motto «Il nostro futuro include tutti». La campagna di sensibilizzazione, infatti, intende spingere bambine e bambini oltre gli stereotipi di genere per costruire un sistema che dia opportunità a tutti. In occasione della Giornata internazionale della donna, inoltre, invita le bambine e le ragazze a ricreare la pubblicità LEGO del 1981, raffigurante proprio una bambina che tiene tra le mani una sua creazione di mattoncini.

Allo scopo, anche in questo caso, di favorire la creatività, si aggiunge l’intento di dare spazio a una categoria marginalizzata, quella delle persone che si identificano nel genere femminile. La proposta è affiancata da una galleria di parte delle ingegnere, designer, direttrici e vicepresidenti che lavorano all’interno di LEGO. Infine sono riportate le testimonianze di alcune donne che fanno parte della AFOL (Adult Fan of LEGO) Community e raccontano come l’uso delle costruzioni abbia ampliato le loro potenzialità e ne abbia incoraggiato la carriera.

Tweet di lancio del progetto Future builder

Naturalmente si tratta anche di una scelta di marketing. Nessun brand si muove verso il sociale senza sperare di ottenere qualcosa in cambio, anche solo in termini di immagine. D’altra parte, però, ciò che la campagna LEGO mette in luce va oltre il suo marchio e tocca un nodo centrale del mondo di oggi. Per quanto l’accesso all’istruzione, al mondo del lavoro e anche ai ruoli apicali e di leadership diviene sempre maggiore per le donne, persino LEGO, che ha tra i suoi pilastri aziendali una gestione basata sulla diversity e sull’inclusione, inserisce nella galleria dedicata alle lavoratrici del brand stesso esclusivamente sei nomi, quando si contano più di 20 000 dipendenti. Ciò non significa naturalmente che le donne sul totale sono solo sei, ma che unicamente queste sono nella posizione che permette loro di essere considerate di ispirazione per le bambine di oggi.

C’è un evidente rapporto problematico tra le donne e il lavoro. E per risolverlo è necessario “ricostruire il mondo” – come dice lo slogan della campagna – proprio a partire da punti divista diversi da quello dominante. Ascoltare le categorie marginalizzate e puntare sulla loro creatività per avvicinarle alla sfera lavorativa e dirigenziale sono le basi di Future builders e di uno sguardo onesto sul problema dell’occupazione femminile.

Dati sulla fragilità professionale femminile raccolti dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Questa situazione è nota ed è oggetto di discussione da molto tempo. Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé, il saggio che contiene le due conferenze tenute dall’autrice a Cambridge nel 1928, scrisse: «Una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una stanza per sé, una stanza propria». Al posto della carriera letteraria si può inserire un percorso professionale in un altro settore. In ogni caso, per arrivare a una posizione tale da poter agire nella propria area lavorativa, migliorare la situazione di tutte le donne e impiegare la propria creatività in campo sociale, bisogna avere dei mezzi.

Infatti sempre Woolf scrisse: «Mi domandavo […] qual era l’effetto della povertà sulla mente; e qual era l’effetto della ricchezza sulla mente». La libertà intellettuale, la possibilità di realizzarsi e, perché no, di diventare un modello d’ispirazione per le giovani generazioni dipendono inevitabilmente dalla situazione materiale. «E le donne sono sempre state povere, non soltanto in questi duecento anni, ma dagli inizi dei tempi» scriveva Woolf.

Dati sull’occupazione femminile raccolti dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Guardiamo allora qual è lo stato dell’occupazione femminile oggi in Italia. Secondo i dati più recenti raccolti dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, nel 2021 le donne tra i 15 e i 64 anni che svolgono un lavoro retribuito sono il 48,5%. Lo scorso anno erano il 50,1%. Durante la pandemia di Covid, infatti, il numero delle donne disoccupate è aumentato notevolmente rispetto a quello degli uomini. Le lavoratrici hanno avuto un calo del 4,1% (402 mila persone), mentre i lavoratori del 2,4%. Questi dati, inoltre, contrastano fortemente con la situazione europea, che riporta un calo del 2,1% per entrambi i generi. Nell’ultimo anno, mediamente, su 100 posti di lavoro persi, 56 sono quelli femminili (in Europa 46).

Tutto ciò è un segno, come si legge, che

anche quando le donne accedono al lavoro, la loro condizione occupazionale continua ad essere caratterizzata da una debolezza strutturale che finisce per renderle più esposte ai rischi di espulsione dal mercato rispetto agli uomini e alle colleghe di altri Paesi.

Oltre a ciò si aggiunge il problema del gender pay gap, cioè della differenza di retribuzione tra donne e uomini a parità di mansioni. L’Italia, infatti, secondo il Global Gender Gap Report, si colloca 76esima a livello globale con un indice pari a 0,707 (più l’indice tende a uno, meno sono le disparità di retribuzione dovute al genere).

Country Score Card dell’Italia tratta dal Gender Gap Report

Un ultimo elemento da considerare per una visione globale sono le mansioni non retribuite. Sostanzialmente, infatti, non esiste una donna non lavoratrice. Già Woolf nel 1928 scriveva:

È facile dire, indicando le strade, le piazze, le foreste del globo gremite di abitanti neri e bianchi e caffellatte, tutti indaffarati e occupati nel commercio, l’industria e l’amore: abbiamo avuto ben altro da fare [rispetto a guadagnare]. Senza il nostro intervento nessuno avrebbe solcato questi oceani, e queste fertili terre sarebbero ancora un deserto. Abbiamo partorito e allevato e lavato e insegnato, forse fino all’età di sei o sette anni, i milleseicento ventitré milioni di esseri umani che secondo le statistiche popolano il mondo; e questa fatica, anche ammettendo che ci hanno aiutate, esigeva molto tempo.

Secondo i dati Istat nel 2014 donne e uomini hanno svolto 71,3 miliardi di ore di lavoro domestico e di cura, cioè di gestione della casa, dei figli, di persone anziane o non autosufficienti a carico della famiglia. Parallelamente le ore di lavoro retribuito sono state 41,7 miliardi. Il 71% delle mansioni di cura in questione è stato svolto da donne. Considerando nuovamente la situazione europea, si nota che le italiane sono tra i primi posti per quantità di tempo impiegato in lavori non retribuiti, con 5 ore al giorno di media. Gli italiani, d’altra parte, impiegano per tali mansioni un’ora e 47 minuti quotidianamente. Osservando i dati del 2016 sul lavoro non retribuito, non si notano troppe differenze: le donne che partecipano alle attività domestiche sono l’81%, gli uomini il 20%.

Dati Istat sulla distribuzione delle attività domestiche per genere

Le conseguenze di tutto questo sistema erano chiare già a Woolf un secolo fa: maggiore povertà per le donne e meno tempo da impiegare per la propria formazione personale, anche solo per il carico mentale da sopportare per gestire il lavoro di cura ed eventualmente quello retribuito. Inoltre sono minori le possibilità di aspirare a una posizione lavorativa più prestigiosa e redditizia. Come già in Una stanza tutta per sé è stato messo in evidenza, questa non è solo una questione economica, ma anche sociale.

Meno ricchezza per le donne significa meno partecipazione, per loro, a posizioni strategiche e di leadership che portano a modificare il sistema socioeconomico in cui viviamo. Un circolo vizioso che, se lasciato inalterato, porta alla perpetuazione continua di uno stesso meccanismo. Per modificarlo in modo che sia più adatto ai bisogni di tutti, bisogna davvero Rebuild the World, puntando sulla consapevolezza, sulla creatività e sulle nuove generazioni.

Leggo, scrivo e ne parlo. Sono una giornalista, un'insegnante. Mi occupo di diritti e conduco il podcast Cristianə a chi?

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