La maledizione di Istanbul

«Che oroscopo puoi trarre questa sera, Mago

L’invocazione è di Filemazio, personificato nientemeno che da Francesco Guccini nella sua meravigliosa Bisanzio. Non lo sa nemmeno lui, che pure è «astronomo, protomedico, matematico, forse saggio», quale possa essere la risposta delle stelle, le coincidenze astrali in grado di spiegare una serie di avvenimenti.

Negli ultimi 20 anni Juventus e Galatasaray sono finite per tre volte nel medesimo girone eliminatorio di Champions League. Da Zinedine Zidane a George Hagi, da Alex Del Piero ad Hakan Sukur, da Carlitos Tevez a Didier Drogba, passando per Marcello Lippi, Fatih Terim, Antonio Conte e Roberto Mancini. Grandi nomi, grandi personaggi, grandi storie. Ma questa risma di cognomi altisonanti non è sufficiente a spiegare una tripla coincidenza che stride con ogni logica. Tutte e tre le volte che la Juventus avrebbe dovuto giocare ad Istanbul contro la squadra del quartiere Galata, è successo qualcosa di imprevedibile che ha costretto due volte a posticipare la sfida ed una volta a giocarla in un clima di enorme ostilità. Le cause vanno ricercate negli avvenimenti politico-diplomatici e negli agenti atmosferici.

La Champions League, per dire, presenta un calendario talmente fitto che diventa difficilissimo, se non pressoché impossibile, rimandare un impegno. Tutti abbiamo ancora negli occhi l’irreale minuto di silenzio sui campi europei nella serata dell’11 settembre 2001, quando ormai il mondo aveva già scelto, da qualche ora, di cambiare definitivamente. C’è un rigoroso calendario da rispettare, ci sono lunghe e difficoltose trasferte continentali, ci sono determinate logiche televisive. Eppure qualche volta è successo. Nella recente storia bianconera una nebbia fittissima impedì, per ben due volte in sette giorni, di disputare il match al Delle Alpi contro il Bayer Leverkusen. Alla fine si scelse di giocare alle ore 15:00 del giorno successivo. Ma ciò che successe nei tre precedenti a Istanbul va oltre l’immaginazione.

Il caso Ocalan

Il Girone B dell’ultima Champions League del XX° secolo parte subito con il botto. La squadra vicecampione in carica, sconfitta pochi mesi prima a Parigi dal gol (in fuorigioco) di Pedrag Mjatovic, impatta 2-2 contro i turchi del Galatasaray. Non è un grande risultato per la Juventus di Lippi: rileggendo la partita a posteriori, già si possono intravedere lacune che via via si faranno sempre più grosse durante la stagione, la quale avrà due enormi picchi negativi, l’infortunio di Del Piero a Udine e le dimissioni di Marcello Lippi dopo il 2-4 casalingo contro il Parma.

Il ritorno in Turchia si dovrà giocare a inizio dicembre. I bianconeri sono pienamente consapevoli che il match sulle rive del Bosforo avrà delle grosse difficoltà ambientali, ma certamente non possono immaginare uno spiegamento di forze di polizia così massiccio. Questo perché nell’autunno del 1998, nel mezzo della doppia sfida fra Juventus e Galatasaray, esplode il caso Ocalan.

La questione curda

Abdullah Ocalan nel 1998 è il leader carismatico del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, da lui stesso fondato alla fine degli anni ’70. Il PKK è un’organizzazione nazionalista curda, inizialmente di matrice marxista-leninista, nata con l’obiettivo preciso della lotta per il riconoscimento di uno stato indipendente della macroregione del Kurdistan, inglobando aree all’interno dei confini di Turchia, Siria, Iraq e Iran.

La questione del Kurdistan è chiaramente attualissima anche ai giorni nostri, interessando una regione oggettivamente spinosa. Il nemico principale del PKK è ovviamente la Turchia e si calcola che nel conflitto terroristico armato fra la nazione turca e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan siano morte oltre 30 mila persone fra gli Anni ’80 e i primi anni del XXI° secolo. In breve tempo il PKK viene considerato a tutti gli effetti un’organizzazione terroristica, non soltanto dalla Turchia, ma anche da varie organizzazioni internazionali.

All’interno del complesso tavolo di gioco del Kurdistan, si inseriscono vari giocatori. Ocalan per diversi anni trova rifugio in Siria, paese che per molti è stato un grande finanziatore del PKK, in modo tale da destabilizzare la Turchia. Sul finire degli Anni ’90 la vicenda diplomatica fra Turchia e Siria si fa sempre più inquietante, tanto da rischiare più volte il conflitto armato. In una situazione non più sostenibile, il governo siriano non consegna Ocalan direttamente alle autorità turche, ma gli intima di lasciare il paese. Inizialmente il leader del PKK trova rifugio in Russia, ma ben presto viene allontanato.

Abdullah Ocalan e la bandiera del PKK. – © Twitter

L’arrivo in Europa

All’interno di questa scacchiera esplosiva, un ponte metaforico e reale fra Europa e Medioriente, la Grecia cerca invano di recitare un ruolo importante, non attraverso il governo centrale (che non vuole immischiarsi in questioni diplomatiche, avendo oltretutto da poco ottenuto la candidatura per le Olimpiadi del 2004), ma grazie ai suoi servizi segreti, i quali coprono Ocalan per qualche settimana. La patata però comincia ad essere esageratamente bollente per tutti e anche i greci iniziano a defilarsi. In questa intricata ragnatela di rapporti trasversali, Ocalan sbarca in Italia il 12 novembre 1998.

All’interno del nostro paese, da un paio di mesi a capo del governo siede Massimo D’Alema, il quale ha preso il posto del dimissionario Romano Prodi. Come ogni coalizione della sinistra italiana durante la Seconda Repubblica, anche quella guidata dal primo ex PCI divenuto capo del governo, presenta una vasta eterogeneità. Tirato per la giacchetta dai centristi da un lato, e dall’estrema sinistra dall’altro, D’Alema si ritrova fra le mani una faccenda assai complessa.

Ocalan arriva in Italia grazie al lavoro di Ramon Mantovani, all’epoca deputato di Rifondazione Comunista e responsabile Esteri del partito. Il piano del leader del PKK è semplice: consegnarsi alla polizia italiana (così fa, effettivamente) per ottenere l’asilo politico. Nella ricostruzione politica fatta da Marco Ansaldo, giornalista di Repubblica, si narra che D’Alema abbia ricevuto grosse pressioni diplomatiche da parte di Turchia e Stati Uniti per non concedere lo status di esiliato politico a Ocalan.

Abdullah Ocalan (a dx.), leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, insieme a Ramon Mantovani (a sx.), l’uomo che, con il suo lavoro, ha permesso l’arrivo in Italia dell’uomo a capo del PKK. – © Kurdipedia

Infatti, il 16 dicembre 1998 la Corte D’Appello di Roma stabilisce che Abdullah Ocalan va considerato come un cittadino libero, revocando l’obbligo di dimora e il divieto di espatrio che gli era invece stato esposto il 20 novembre. Nel mezzo di tutto questo marasma, si gioca Galatasary – Juventus.

La Juvenstus di Zidane e il Galatasary di Hagi

Luciano Moggi chiede all’UEFA un trattamento particolare. Inizialmente domanda addirittura la possibilità di giocare in un campo neutro (anticipando il secondo Galatasary – Juventus di questa storia, quello del 2003). Per il maggiore organo continentale calcistico non se ne parla nemmeno, anzi, paventa multe salate qualora la Juventus non volesse rispettare il classico protocollo di una partita di Champions League che, tra le altre cose, prevede che la squadra avversaria arrivi nel paese ospitante almeno un giorno prima.

La dirigenza bianconera risponde picche alla UEFA: multateci pure, ma noi, con Ocalan ancora a Roma, sostiamo a Istanbul giusto il tempo per giocare la partita. La carovana bianconera parte con un aereo privato il mattino del match, direzione Bosforo. A bordo, oltre alla squadra, nessun giornalista, qualche membro dei servizi segreti e i due ministri Fassino e Melandri per un incontro (mai avvenuto) con alcuni rappresentanti del governo turco.

I militari turchi accolgono la delegazione juventina regalando una rosa bianca ad ognuno dei presenti. Poi, via, scortati da elicotteri, pattuglie, mitra e sottomarini, di corsa verso l’Hotel Kempinsky, presidiato da innumerevoli cecchini. Sembra che ci siano 22 mila agenti di polizia in servizio quel giorno a Istanbul.

La Juventus arriva allo stadio in orario, pubblico visitante ovviamente non presente. Piogge di fischi e insulti accompagnano i calciatori bianconeri fin dal riscaldamento. Dopo tre-secondi-tre dal fischio di inizio Zinedine Zidane viene atterrato all’interno del cerchio di centrocampo. Non c’è la violenza del celebre intervento di Tardelli su Rivera, ma rende l’idea di che partita sarà. L’attesa sfida a colpi di genio fra Zidane e Hagi praticamente non va mai in scena.

L’attore protagonista subentra dalla panchina ed è un vecchio lupo di mare: Nick “Dinamite” Amoruso da Cerignola (FG) raccoglie al volo un cross di Zizou e firma il vantaggio. Nel finale, però, un colpo di testa in mischia di tale Saut trafigge Rampulla e inchioda il risultato sul pareggio. La Juventus con in tasca la quinta X su cinque avventure europee stagionali, torna in fretta e furia a Torino e saluta la vecchia Costantinopoli tirando un enorme sospiro di sollievo.

Il resoconto di quell’assurda giornata.

Il terrorismo di Al-Qaeda.

I bianconeri torneranno ad Istanbul solamente nel dicembre del 2013, per l’ultima partita di un girone di Champions League iniziato male (pareggio in Scandinavia per 1-1) e terminato peggio. Nel mezzo, però, c’è stata un’altra partita in trasferta con il Galatasaray, nel dicembre del 2003. Il punto è che non si giocò lungo le rive del Bosforo, ma all’interno della Rhur, precisamente nel magnifico Westfalenstadion di Dortmund.

Le bombe di Istanbul

Tra il 15 e il 20 novembre 2003 Istanbul è sconvolta. È l’epoca del terrorismo di Al-Qaeda e l’organizzazione di Osama Bin Laden rivendica due attentati nella capitale turca. Due bombe posizionate in due diversi automobili vicino a una sinagoga provocano la morte di 30 persone. Cinque giorni più tardi, il terrorismo islamico fa esplodere due ordigni, uno di fianco alla banca HSBC e l’altro vicino al consolato britannico. I feriti sono quasi trecento, i morti invece 45, tra cui il console Roger Short.

Qualche mese prima era scoppiato il conflitto iracheno e l’Inghilterra di Tony Blair scelse di affiancare, fin da subito, l’alleato statunitense. L’obiettivo britannico è ben chiaro e le bombe di Istanbul anticipano di due anni l’estate londinese del 2005, con i kamikaze che colpiscono la metropolitana della city.

Si gioca in campo neutro

Questa volta Juventus, Galatasaray e UEFA concordano: a Istanbul non si gioca. Inizialmente il match viene rinviato di una settimana e nel frattempo si cerca una soluzione alternativa. Chiaramente i turchi accettano l’idea di giocare in territorio neutro, ma vorrebbero mantenere una sorta di fattore campo. E quale idea migliore della Germania contemporanea, paese che ospita milioni di famiglie di origine turca?

Si conta che in Vestfalia i turchi di Germania superino il milione. Per loro non può sembrare vero che il Gala venga a giocare proprio qui e, soprattutto, che giochi “in casa”. Ad accogliere i tifosi bianconeri non c’è il classico muro giallo che accompagna le partite casalinghe del Borussia, ma la Sudtrubune di Dortmund è colorata di rosso e arancione, i colori del club di Galata, storicamente tifato dall’élite progressista e filoeuropea di Istanbul.

Dogs of Berlin è una serie tv che racconta, tra le altre cose, il mondo dei turchi di Germania.

La doppietta di Hakan Şükür

Il match comincia con venti minuti di ritardo a causa del traffico che manda letteralmente in tilt la solitamente minuziosa organizzazione tedesca. Questo Galatasaray non è la squadra capace di vincere la prima Coppa UEFA del nuovo millennio e di sconfiggere il Real Madrid nella Supercoppa europea, ma i ragazzi dell’Imperatore Terim fanno maledettamente penare la seconda Juventus di Lippi, anche questa vicecampione d’Europa in carica.

I bianconeri sono già qualificati e il tecnico di Viareggio opta per le seconde linee, relegando in panchina Buffon, Camoranesi, Nedved e Trezeguet. Del Piero è infortunato e non può calcare il campo di uno stadio che lo ha visto protagonista in due differenti momenti della sua carriera. Sospinti dal pubblico “di casa” il Gala vince per 2-0, grazie alla doppietta del totem locale Hakan Şükür, rientrato in patria dopo le deludenti esperienze italiane a Milano e Parma.

Il premio Mi ritorni in mente battistiano va al leader della difesa turca, abile a sventare le incursioni di Miccoli, Di Vaio e dell’uomo di coppa Zalayeta, ovvero un carismatico Frank De Boer. La Juve otterrà il primo posto nel girone sconfiggendo la settimana successiva l’Olympiakos con un roboante 7-0; al contrario, invece, la squadra di Terim non andrà oltre il pareggio a San Sebastian, concludendo il girone al terzo posto.

Dortmund, provincia di Istanbul. – © Twitter

Agenti atmosferici

I protagonisti assoluti della Champions League 2010 e 2012 approdano a Istanbul a pochi mesi di distanza. Didier Drogba e Wesley Snejder guidano la truppa turca nella campagna europea del 2013/2014. È un Galatasaray forse ricco, sicuramente ambizioso, tant’è che per la panchina sceglie, in corsa, Roberto Mancini. L’esordio del Mancio sulla panchina turca è proprio allo Juventus Stadium, in un altro 2-2 (come quello del 1998).

Il Galatasaray di Drogba e Snejder

Questo Galatasaray è comunque una squadra certamente ben attrezzata. Solamente qualche mese prima ha raggiunto i quarti di finale di Champions, entrando nel G8 del calcio europeo. Durante la doppia sfida con il Real Madrid, un Drogba tirato a lucido per le notti europee fa passare un brutto quarto d’ora ai tifosi madridisti, prima che CR7 faccia scomparire, di colpo, tutti i fantasmi.

Snejder, al contrario dell’attaccante ivoriano, sembra aver imboccato da tempo la fase calante della sua carriera, lontanissimo parente dall’olandese volante dell’anno mirabilis 2010, probabilmente il destinatario più meritevole di quel Pallone d’Oro finito, con parecchi interrogativi, tra le braccia di Leo Messi. Eppure, anche per uno campione in fase calante c’è sempre tempo per un ultimo guizzo.

Dicembre ad Istanbul

Ciò che accomuna tutte e tre le sfide non-casalinghe contro il Galatasaray è il momento della stagione. Per due volte la Juventus ha sfidato i turchi alla quinta giornata del girone di Champions, questa volta invece è addirittura l’ultima partita. Tradotto nel calendario gregoriano significa che la Juventus atterra in Turchia a dicembre inoltrato. Avete presente il caldo estivo e le magnifiche spiagge mediterranee? Dimenticate tutto questo. La Bisanzio che accoglie la Juventus è fredda, gelida, invernale.

E pochi minuti prima del fischio di inizio comincia a nevicare copiosamente sulla Turk Telekom Arena, che da un paio d’anni ha sostituito il vetusto Ali Sami Yen. Dopo mezz’ora di calcio su un campo impraticabile, l’arbitro decide di sospendere temporaneamente la partita, ma a tutti i presenti appare chiaro che ricominciare in queste condizioni è impossibile. Oltretutto, essendo l’ultima partita del girone, incombe l’urna di Nyon per la compilazione degli ottavi di CL e dei sedicesimi di EL. In porche parole, la partita non può essere rimandata alla settimana successiva.

Classico conciliabolo fra la UEFA e i due club e alla fine viene presa la decisione più ovvia: la partita riprenderà l’indomani pomeriggio dalla mezz’ora del primo tempo. La maledizione di Istanbul colpisce nuovamente la Juventus e questa volta non c’entra la politica né tantomeno il terrorismo.

Un tranquillo inverno a Istanbul. – © Twitter

Il campo asimmetrico

Nuovo fischio d’inizio dell’arbitro e si nota subito che manca la classica simmetria che contraddistingue da sempre un campo di calcio. Un lato del manto erboso è in condizioni definibili, bonariamente, accettabili; nell’altra metà campo, invece, il terreno è pressoché impraticabile. D’altronde, anche la restante ora da giocare del match è asimmetrica: un quarto d’ora per concludere la prima frazione di gioco e ben quarantacinque minuti del secondo tempo.

I turchi hanno chiaramente spalato nella miglior maniera possibile la metà campo su cui il Galatasaray andrà ad attaccare durante il secondo tempo. L’altra parte del terreno di gioco è invece lasciata allo sbaraglio. La Juventus, a cui basta solamente un punto per ottenere la qualificazione agli ottavi, cerca comunque di fare la sua partita.

Fernando Llorente, in un contesto tattico in cui dovrebbe risultare fondamentale, non rende merito al soprannome di Re Leone, finendo sovrastato dalla difesa turca. Un Paul Pogba a inizio carriera, schierato davanti alla difesa in assenza di Pirlo, gioca una partita al piccolo trotto, preferendo narcisisticamente specchiarsi piuttosto che utilizzare il suo fisico possente.

Morale della favola, a pochi minuti dal triplice fischio Didier Drogba raccoglie l’ennesimo lancio dalla difesa e con una sponda di testa agevola l‘inserimento di Snejder che infila Buffon con un diagonale rasoterra. L’infreddolita Turk Telekom Arena esplode di gioia, i turchi sono agli ottavi, la Juventus si deve accontentare dell’Europa League.

Il gol dell’Olandese Volante, Wesley Snejder.

La maledizione di Istanbul

Tra la prima e la seconda trasferta (effettiva) ad Istanbul sono passati 15 anni. Inutile ribadire che i progressi tecnologici siano stati molteplici. Si racconta che nel 1998, a scatenare l’ira anti-italiana nei giorni precedenti la partita, fu un fotomontaggio mandato in onda dalla TV turca, in cui veniva raffigurato Ocalan in maglia bianconera. Questo perché tantissime persone residenti in Turchia negli anni finali del XX secolo non si accorsero che fosse un fotomontaggio. Nel 2013, invece, spuntarono come i funghi i meme, graficamente perfetti, tesi a immortalare un Antonio Conte “agghiaggiado” nel gelo di Istanbul, città sospesa tra due mondi e tra due ere, e chiaramente maledetta per l’universo bianconero.

Giacomo Van Westerhout (1992) è laureato in filosofia. Attualmente vive a Parigi, non lontanissimo da Michel Houellebecq. Le cose della vita lo hanno portato a tifare FC Nantes e Real Betis Balompié

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