Punta della Dogana e Saul Fletcher. Una pagina bianca

“Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. /
Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi / Ripetetele ai vostri figli.”

Primo Levi, Se questo è un uomo

Saul Fletcher, fino a giugno 2020 è stato un fotografo noto al mondo dell’arte contemporanea come l’inquietante predicatore di una realtà onirica animata da carcasse di animali, teschi e paesaggi desolati, appositamente congegnati per indurre una macabra morbosità nello spettatore. Il 22 luglio 2020 Saul Fletcher è diventato uxoricida suicida ed è stato cancellato dallo stesso mondo che fino a poco tempo prima ne aveva decantato la bravura, l’acume intellettuale e la creatività, concedendogli fama e visibilità tra le mura delle più rinomate sedi espositive internazionali: Tate Modern di Londra, Fiera di Art Basel, l’Atlanta Contemporary Art Center e la Pinault Collection.

Saul Fletcher, Berlino 2019. da ARTPIL

Proprio la Pinault Collection ha fatto parlare di sé questa settimana per la sicuramente discussa decisione di rimuovere l’opera “Don’t Let the Darkness Eat You” di Fletcher presente nella mostra collettiva “Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi” inaugurata a Punta della Dogana il 22 Luglio (lo stesso giorno dell’omicidio-suicidio per ironica volontà del fato).

Sul sito della Pinault Collection si legge in una nota “Palazzo Grassi – Punta della Dogana ha deciso di rimuovere l’opera dell’artista Saul Fletcher […] nel rispetto della memoria di Rebeccah Blum, vittima di un omicidio perpetrato il 22 luglio 2020 dall’artista, successivamente suicidatosi, e per esprimere solidarietà nei confronti di tutte le donne oggetto di violenza.”

La dirigenza della Pinault Collection non si è limitata a rimuovere fisicamente l’opera dalla mostra della sede veneziana, ma ha operato una damnatio memoriae digitale, cancellando ogni riferimento all’artista dal sito della collezione (che normalmente ospita una pagina che descrive nel dettaglio le opere e la biografia di ogni artista esposto) lasciando cosi una desolante traccia nella schermata Error-404-page not found. 

Screenshot della pagina dedicata all’artista Saul Fletcher eliminata dal sito ufficiale della Pinault Collection.

Elaborazione? No, rimozione del trauma di aver ospitato l’arte di un assassino. Sensi di colpa? No, tecnica imprenditoriale.

La tendenza alla rimozione, non solo fisica ma anche, e soprattutto, intellettuale, sta prendendo paurosamente piede negli ultimi anni toccando ogni ambito creativo e culturale. Quest’onda anomala di moralismo si ammanta di agire nel giusto, in favore dei diritti delle donne, degli omosessuali, degli afroamericani e, più in generale, delle minoranze, eppure sta creando un pericoloso precedente censorio che non può essere perpetuato. La memoria storica ha un’importanza capitale e l’elaborazione, lo studio, l’analisi deve essere preferibile alla rimozione e alla negazione degli eventi. 

Rimuovere l’opera di Fletcher da uno dei più importanti musei d’arte contemporanea al mondo, cancellarne addirittura le tracce, significa negare l’esistenza dell’artista, negare che questo malato di mente abbia ucciso la moglie e poi si sia suicidato. Il che significa, più sottilmente, sostenere che un omicida non possa in nessun modo essere un artista.

Come può quest’atto di rimozione essere considerato un gesto che cerca di contrastare la violenza sulle donne?

Buttare giù le statue, rimuovere film e telefilm, levare dai programmi universitari illustri letterati e intellettuali, è una modalità di censura dittatoriale e acritica che sceglie di negare l’evidenza, facendo ancora più danni di quanti la storia non ne abbia già fatti. La sottrazione non è il contraltare di una narrazione, è un suo mezzo. 

Arrivati quindi al parossismo, io a questo punto della mia vita per evitare di essere razzista, antifemminista o una squallida schiava del patriarcato non dovrei più guardare ogni film diretto da Woody Allen, ogni film diretto da Polański, ogni film prodotto da Weinstein (Peccato niente Johnny Depp in Chocolat, niente Shakespeare in love, Farenheit 9/11, Bastardi senza gloria, Django Unchained, Sin City ecc.). Non potrei nemmeno godermi ingenuamente qualche puntata di Scrubs perché, a quanto pare, è un telefilm estremamente razzista per l’uso della blackface. Non parliamo poi de I Robinson, dato che Bill Cosby è stato condannato per violenza sessuale, accusato da qualche decina di vittime, tra cui molte minorenni, che dicevano di essere state drogate e stuprate. Assolutamente banditi tutti i film di quel filonazista e antisemita di Walt Disney. Dite ciao alla Sirenetta e a Dumbo.  

Dumbo, Walt Disney, 1948.

Dopo la rimozione della HBO, nessuno avrà più modo di guardare Via col Vento. Ammirare le foto di Mario Testino e Bruce Weber, due dei numi tutelari della fotografia di moda è fuori discussione, dato le recenti accuse di violenza che hanno spinto Vogue e la casa editrice Condé Nast a cessare ogni rapporto.

E se mi venisse un raptus intellettualistico? Niente Schopenhauer, che buttò la vicina di casa per le scale storpiandola a vita. Non parliamo poi di Heidegger che, da buon vecchio nazista, non disdegnava la compagnia e il calore di una una diciottenne ebrea, Hannah Arendt. Lasciamo perdere Nietzsche, così infame da buttare nello stesso cesso tedeschi, ebrei, donne e divinità. Però i cavalli gli piacevano, a quanto pare. Platone era xenofobo, Voltaire un antisemita razzista, Rimbaud un negriero, Pasolini un pedofilo, Céline una bestia apertamente antisemita.

Pier Paolo Pasolini durante le riprese del cortometraggio “La ricotta” , 1962

Jean Genet? Altro incorreggibile pederasta, lo infilava in ogni fessura senza stare molto a discuterne. Miller vaneggiava di “pisciare nel culo” di ogni donna che avesse a tiro e il suo amico, Lawrence Durrell, fu accusato di stupro dalla figlia psicotica. Resta solo Alice nel paese delle meraviglie. Ah no, Carroll con tutta probabilità era un morboso pedofilo. Forse Verlaine? Sì, è vero, sparò a Rimbaud sul lungo Senna, però l’altro, l’abbiamo già detto, poi divenne un negriero, quindi pari e patta. Fellini e Picasso erano probabilmente affetti da satiriasi e nessuno ha ancora capito come, tra una gonnella e l’altra, abbiano trovato il tempo di diventare due dei più grandi artisti del ‘900. Se malauguratamente dovessimo aprire il capitolo “prostituzione” e “prostituzione di minorenni” non ci sarebbe server capace di immagazzinare un elenco completo.

“Hitler è stato la prima grande rockstar e il nazionalsocialismo una splendida iniezione di morale”, disse David Bowie a poca distanza da Sid Vicious che vestiva una bella t-shirt con la svastica sopra prima di salire sul palco. Ah, anche i Sex Pistols se ne vanno via nel vento, dato che Vicious è stato accusato di aver ucciso con una coltellata la sua compagna. Potete leggerlo su “Rolling Stone”. Ah, no: in effetti il suo fondatore, Jann Wenner, è stato accusato a più riprese di molestie sessuali. Ci sarà qualche libro, magari edito Feltrinelli? Probabilmente sì, ma quello è morto mettendo dell’esplosivo su un traliccio, il che lo rende un terrorista, non permettendoci di comprare i libri delle sue edizioni a cuor leggero. 

Sid Vicious con la sua ragazza Nancy Spungen, uccisa nel 1978 dal compagno.

Uccidere l’opera dell’artista-uxoricida Fletcher significa aderire all’indice della nuova controriforma. Un tribunale inquisitorio che non si limita a bruciare l’uomo, ma anche la sua opera. Questa necessità di eliminare, di limare, di riconfigurare l’arte secondo quello che sentiamo moralmente accettabile si basa però su un teorema: l’opera d’arte è simile all’artista che l’ha prodotta. Un pensiero cattolico, biblico, che vede nell’opera il peccato dell’artefice, una maledizione tragica che porta via con sé il bello e il buono che la vita di un uomo, magari infame e amorale, ha potuto creare. L’opera d’arte, una volta terminata, non appartiene più all’artista, ma alla cultura e all’umanità: trascinare un dipinto, un romanzo o un film in tribunale, sarebbe come portare alla sbarra degli imputati il figlio di un assassino. Il figlio non appartiene al padre e così l’opera non appartiene al suo artefice. Possiamo disdegnare l’uomo, i tribunali possono accusarlo, ma l’arte non c’entra, è in un altro mondo, un mondo fatto di forme e di analogie, distanti dalla logica e dal pensiero dimostrativo.

Se continueremo su questa strada, tra cent’anni, quando cercheremo da qualche parte la cultura occidentale, troveremo la scritta Error-404-page not found.

Micol Steinwurzel, milanese, si è laureata in Arte Contemporanea all’Università degli Studi di Milano e in Economia alla Ca’ Foscari di Venezia. Si ostina ad appassionarsi di moda, arte e design.

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