Sweet home Polonia? Due pesi e due misure
La Polonia dei muri
Circa due mesi fa la notizia principale riportata dai telegiornali riguardava la terribile situazione al confine tra Bielorussia e Polonia.
Migliaia di profughi provenienti dalle più disparate regioni del Nord Africa e dell’Asia Minore, si trovavano senza cibo e senza un tetto dove ripararsi dalle temperature gelide, bloccate al confine tra due nazioni.
La provocazione della Bielorussia di Lukashenko che, in maniera crudele e cinica, si era occupata di trasportare centinaia di profughi nel proprio Paese con la promessa di un comodo approdo in Europa, si scontrava con il braccio di ferro della Polonia di Morawiecki, non disposta a piegarsi a questo ricatto.
Si possono discutere i mezzi e i modi, le colpe e le recriminazioni; ma resta un fatto: nessuno dei due Stati è stato disposto a fare un passo indietro.
Centinaia di persone si trovavano e si trovano tutt’oggi in un lembo di terra desolato, senza poter andare avanti e senza potersi voltare indietro.
Ad oggi il computo delle vittime è ufficialmente di 27 morti, tra cui un bambino di 1 anno.
Ma uno dei due Stati a rendersi complice di questa tremenda situazione è da ormai 17 anni membro dell’Unione Europea.
Quest’ultima ha condannato duramente l’azione compiuta dalla Bielorussia:
L’Unione europea non tollererà la strumentalizzazione di esseri umani orchestrata dal regime di Lukashenko a fini politici. Questa cinica strategia di sfruttamento delle persone vulnerabili rappresenta un abietto tentativo di distogliere l’attenzione dalle continue violazioni del diritto internazionale, delle libertà fondamentali e dei diritti umani da parte del regime in Bielorussia. L’UE è unita nell’affrontare questa sfida e utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione […].
(Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea).
Sulla reazione della Polonia, che non ha esitato a schierare l’esercito e a erigere un muro a protezione del proprio territorio, regna tutt’oggi un misto di reticenza e vaghezza.
La Polonia della solidarietà
Fa riflettere il fatto che oggi, in un contesto certamente diverso, quella stessa Polonia così determinata a non far passare nemmeno un profugo proveniente da altre parti del mondo, sia oggi lo Stato che ha ricevuto più profughi dall’Ucraina rispetto a tutti gli altri Paesi d’Europa.
Oltre due milioni di ucraini sono stati accolti con la garanzia di tutte le cure e i mezzi necessari per la sopravvivenza.
Il secondo Stato che ne ha accolti di più è la Romania: con 500 mila.
“Due pesi due misure” verrebbe da dire.
Non è la prima volta che la Polonia si dimostra perentoria nel voler distinguere tra richieste di Serie a e di Serie b.
C’è di più: nei giorni scorsi ha infuriato una polemica tra il quotidiano l’Avvenire e l’ambasciatore polacco presso la Santa Sede, Janusz Kotanski.
Nell’occhio del ciclone le presunte minacce, anche armate, da parte di forze dell’ordine polacche nei confronti di profughi “dalla pelle scura”.
La Polonia dissidente
Nel 2015, in piena “emergenza migranti”, la Commissione europea aveva elaborato un piano per la ridistribuzione di migranti e richiedenti asilo arrivati in Europa, in particolare in Grecia e in Italia.
Si era deciso il ricollocamento di circa 100.000 richiedenti asilo, con quote differenti a seconda della popolazione, del Pil, della disoccupazione e del numero di migranti già accolti.
Il gruppo di Visegrad, di cui la Polonia fa parte, è stato tra gli oppositori più forti e compatti, rifiutandosi di accettare tale decisione e di implementare il meccanismo. Tutto questo nonostante i seri problemi demografici dei paesi del centro Europa.
Ciò aveva comportato l’avvio di una procedura d’infrazione da parte dell’Unione.
Tra le motivazioni del rifiuto di accogliere i migranti, veniva messo in evidenza il fatto che essi avrebbero potuto rappresentare un rischio per la stabilità e gli equilibri dei singoli Stati del gruppo di Visegrad.
È di qualche mese fa la notizia che la Polonia, attraverso il suo leader Mateusz Morawiecki, ha respinto il primato del diritto comunitario sulla legislazione nazionale, affermando che alcuni articoli del trattato UE sono incompatibili con la Costituzione polacca.
Dunque il problema dell’accoglienza rappresenterebbe solamente la punta di un iceberg fatto di provocazioni e volontà di non piegarsi alle direttive comunitarie.
La Polonia nella Nato
Oggi però, con la Nato chiamata a far la voce grossa nel conflitto in corso, si fa presto a dimenticare tutto, dal momento che la Polonia rappresenta geo-politicamente un avamposto strategico nel contrasto all’espansionismo russo.
In questi giorni Joe Biden si trova in Polonia discutere di diversi temi.
Oltre all’invio di armamenti, si parlerà di rifugiati; secondo le parole della BBC ci si occuperà di
“Assistenza ed elaborazione di milioni di rifugiati, che ha comportato un notevole onere finanziario e logistico per la Polonia e, se non gestito in modo competente, potrebbe portare a disordini sociali e instabilità economica”.
Parrebbe che in questo caso disordini e instabilità possano essere messe in secondo piano per fare posto a un ideale di solidarietà di certo degno di nota.
Ma a fronte di quanto detto prima, i conti non tornano.
Quando un giorno, e si prega che quel giorno sia il più vicino possibile, la situazione ucraina si sarà acquietata, si dovrà trovare il tempo per discutere finalmente di valori europei condivisi.
Una comunità di Stati che si vuole forte e coesa da un punto di vista economico e strategico non può essere continuamente alla mercé di Paesi non disposti ad aderire a valori condivisi che sono alla base dell’esistenza stessa dell’Unione Europea.