Viktor Orbán al suo quarto mandato

Nei giorni scorsi gli ungheresi sono tornati alle urne. Le elezioni hanno avuto un esito largamente a favore di Viktor Orbán che ha conquistato il suo quarto mandato consecutivo, ottenendo il controllo dei due terzi della camera, soglia indispensabile per poter procedere alla revisione della Costituzione. 

Una coalizione ultraconservatrice, quella di Orbán, che ha superato il 54% delle preferenze, contro il 35% della corrente opposta ed il 6,34% raggiunto dal Movimento per la Patria, sigla che raccoglie gli scontenti del partito di estrema destra Jobbik.

Il premier ultraconservatore nel rivendicare la vittoria non si è sottratto ancora una volta dal lanciare accuse alla Commissione europea, alimentando l’ormai aperto contrasto con la stessa per via di politiche ritenute lesive delle minoranze e dello stato di diritto. “E’ una vittoria così grande che si può vederla dalla luna – ha detto – e di certo riusciranno a vederla da Bruxelles “. Una tornata elettorale che secondo Orbán sarà ricordata soprattutto per il forte “vento contrario” che la maggioranza si è trovata a dover fronteggiare tra i suoi oppositori. 

IL FATTORE GUERRA

A causa dell’invasione russa dell’Ucraina, se pur favorito dalle urne, Orbán occupa una posizione molto delicata, essendo stato accusato dai suoi detrattori di essere più vicino al Cremlino che a Bruxelles, vista la sua riluttanza ad aderire alle sanzioni internazionali contro il governo russo e avendo stretto, nel corso dei suoi dodici anni di carica istituzionale, forti legami con autocrati come lo stesso Putin e con il presidente cinese Xi Jinping. La guerra, però, non solo ha rafforzato il sostegno a Fidesz, ma ha anche dirottato l’elettorato verso il candidato uscente. 

UN’OPPOSIZIONE ALLARGATA CHE NON HA FUNZIONATO

La coalizione avversa di partiti appartenenti ad uno spettro politico molto ampio, costruita per tentare il colpo di testa e togliere il potere a Orban, è stata costretta a presentare una candidatura comune. La strategia del “fronte di sfondamento” non ha tuttavia funzionato, indebolendo di gran lunga i consensi dei singoli partiti, com’è accaduto, ad esempio, con gli elettori delusi da Jobbik, ex formazione di estrema destra ormai assestata su posizioni molto più concilianti, che hanno creato fronte compatto con una formazione assai più radicale, quella del ”Movimento per la Patria (MiHazánk).

Tuttavia per l’opposizione le elezioni appena terminate non rappresentano un fallimento totale, potendo essere al contrario l’inizio di un processo molto costruttivo. Peter Marki Zay, leader dell’ampia compagine seguita alla vittoria delle primarie, ha espresso tutta la sua amarezza, dichiarando che non è stata “l’onestà e l’onore, ma la propaganda” a consegnare questa ennesima tornata a Fidesz.

Alle amministrative del 2018, in corsa come indipendente per ricoprire la carica di sindaco, questi sorprese tutti, sbaragliando Fidesz in una delle sue roccaforti, la cittadina di Hódmezővásárhely. Ma questa volta il risultato non è stato all’altezza delle aspettative. 

DISFATTA DELL’OPPOSIZIONE SUL REFERENDUM OMOFOBO PROPOSTO DA ORBAN 

Il referendum sulla legge anti LGBT, approvata lo scorso giugno, si è fermato appena al 44%, non raggiungendo il quorum. Una normativa che limita i corsi di educazione sessuale nelle scuole e bandisce gli interventi di riassegnazione di genere per i minori, vietando altresi la “promozione” dell’omosessualità in tv e su altre piattaforme multimediali. Oltre all’elevato numero di schede annullate, più del 92% di preferenze sono state espresse a favore del No, cosi come accadde nel 2016, quando, in un referendum governativo sull’accoglienza di immigrati, il negazionismo vinse con il 98%, anche se allora il referendum venne invalidato.

Le associazioni ungheresi per i diritti civili, prevedendo questa vittoria, hanno  boicottato il voto, facendo in modo non soltanto che il 20% delle schede risultassero invalide, ma anche che il testo dei quesiti referendari fosse formulato in maniera da rendere difficile opporsi alla legge.

Già in precedenza la legge sottoposta a referendum aveva cagionato all’Ungheria una procedura di infrazione inflittale dall’Unione europea, ma l’invasione russa dell’Ucraina di questi giorni ha dato il via ad una nuova fase anche nella politica ungherese, facendo irruzione a campagna elettorale in corso e facendo perdere di rilevanza a molti dei temi considerati centrali.

“Non abbiamo nulla da guadagnare in questa guerra, ma solo da perdere. Dobbiamo restarne fuori – ha detto il premier Victor Orbán durante un comizio -. Nessun ungherese dovrebbe essere preso tra l’incudine ucraina e il martello russo”. L’obiettivo di Orbán è ambivalente, votando da un lato a favore delle sanzioni europee ed al tempo stesso schivando le critiche dirette al presidente russo, rifiutandosi inoltre di far passare attraverso l’Ungheria le armi destinate all’Ucraina. L’opposizione ha organizzato molte manifestazioni contro l’invasione russa, mentre diversi politici hanno mosso pesanti accuse ad Orbán, definendolo come il più stretto alleato di Putin nell’ambito dell’Unione europea e che non sia perciò adatto a guidare il paese. 

COSA C’È IN BALLO

Dodici anni fa, quando Viktor Orbán vinse le elezioni, operò una profonda trasformazione nel Paese. Mutamenti che, oltre a provocare un conflitto molto forte con l’Unione europea, suscitarono serie preoccupazioni riguardo ai cambiamenti del sistema elettorale e della libertà dei media. Uno dei motivi di tensione si è verificato esattamente nel 2015, quando il primo ministro ungherese fece costruire una “trincea” di confine, respingendo i rifugiati, un frangente in cui anche l’agenzia antifrode europea, ha denunciato l’uso improprio dei fondi dell’UE.

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