Austria ’19. Il richiamo all’ordine

Le rappel a l’ordre (Il richiamo all’ordine) è un saggio del 1926 dell’intellettuale francese Jean Cocteau che descrive quella che, più che una corrente artistica, è lo spirito del tempo (Zeitgeist, in tedesco) di una generazione falcidiata dalla guerra che si buttava anima e cuore nella riscoperta del classicismo, rifuggendo gli estremismi delle Avanguardie artistiche del periodo prebellico. L’evasione dagli orrori delle trincee e la reazione alla rottura rappresentata da Espressionismo, Astrattismo, Futurismo, Dadaismo, Metafisica, Cubismo e Surrealismo – per limitarsi solo alle arti figurative – non era però più possibile. E così il ritorno alla tradizione in pittura – con Picasso, Braque e De Chirico – e che ha prodotto il meno peggio della letteratura nostrana ed il meglio della letteratura occidentale tra le due guerre – con Mann, Pound, Elliott e Joyce – non poteva che essere una mediazione tra la rivoluzione del passato e la reazione del presente.

© fonds Cocteau de Montpellier – Frontespizio e prima pagina della prima edizione della traduzione inglese de Le rappel à l’ordre (1926), pubblicata nello stesso anno dell’edizione originale a Londra da Faber and Gwyer, col titolo A Call to Order

Gli anni del rappel a l’ordre coincidevano con quelli ritorno alla normalità postabellica. Il trattato di Versailles ha rappresentato per Vienna la dissoluzione del sogno imperiale, il finis Austriae raccontato da Joseph Roth in opere come La marcia di Radetzky e La cripta dei Cappucini. Nel centenario della fine dell’Impero Asburgico, in Austria è arrivato un nuovo richiamo all’ordine con il ritorno alle urne in fretta e furia a causa dell’Ibiza-gate. Un filmato riguardante il vicecancelliere Heinz-Christian Strache, leader del Partito della libertà di estrema destra populista, Fpö e il suo vice Johann Gudenus, aveva causato il crollo del governo. Nel video, girato di nascosto dall’avvocato iraniano Ramin Mirfakhrai il 27 luglio 2018, i due politici accettano le proposte di una donna che si faceva chiamare Alyona Makarova e dichiarava di essere la nipote di un potente oligarca russo chiamato Igor Makarov. La donna propone di fornire all’Fpö finanziamenti e l’appoggio da parte dei media per la campagna elettorale, in cambio di appalti pubblici esclusivi all’oligarca e della promessa di favorire gli interessi russi in Austria.

Lo scandalo è stato svelato di quotidiani Der Spiegel e Süddeutsche Zeitung che hanno pubblicato il video incriminato il 17 maggio scorso. In meno di dieci giorni il governo Kurz, entrato in carica neanche un anno e mezzo prima, veniva così sfiduciato dall’Assemblea austriaca e il presidente della Repubblica indiceva elezioni anticipate, che si sono puntualmente tenute domenica 27 settembre.

© Der Spiegel – Frammento del video, filmato di nascosto in una villa di Ibiza il 27 luglio 2017 che ritrae l’ex vicecancelliere Strache – sul divano insieme alla presunta ereditiera russa Alyona Makarova – ed il suo vice Gudenus

Il ritorno alle urne ha sancito il tracollo dell’ultradestra che ha perso 10 punti: dal 26 al 16%. Subito dopo la débâcle, Strache ha comunicato la propria autosospensione dall’Fpö, pochi minuti prima che fosse il suo partito ad espellerlo. Lo sprofondo nero e la spinta delle piazze gremite in difesa del clima ha giovato ai Verdi che sono riusciti a tornare in parlamento, triplicando i voti. Nel 2017 i Grünen erano precipitati nell’oblio non raggiungendo la soglia del 4%, adesso sono al 13%. I temi ambientali al centro della campagna elettorale hanno eroso punti al principale partito di opposizione, i socialdemocratici dell’Spo che escono dalle urne col peggior risultato della sua storia: 21% che significa cinque punti in meno in 2 anni.

L’assoluto vincitore delle elezioni è stato, nuovamente, il cancelliere uscente Sebastian Kurz. Il ritorno alle urne ha premiato i popolari dell’Ovp che rimangono nettamente il primo partito al 37%, con un incremento di sei punti percentuali rispetto al 2017. Il distacco di 15 punti tra i due partiti storici, quello popolare e socialdemocratico, non era mai stato così ampio.

©  Wikipedia – L’enciclopedia libera

Dopo il valzer elettorale, Kurz può scegliere con chi aprire le danze per il suo secondo mandato. L’impressione però è che il Kurz II non potrà essere un completo abbandono della breve stagione politica del Kurz I. L’impressione lasciata dalla campagna elettorale è che Wunderkind, il 33enne ragazzo prodigio della politica austriaca, abbia puntato ad occupare lo spazio politico che si sarebbe presumibilmente liberato a destra. Quando nel 2017, a soli 31 anni, era diventato leader del partito ne aveva profondamente rinnovato l’immagine, spostandola molto a destra e adottando una retorica sempre più nazionalista e anti-immigrati. Un asse a destra che sembra essere stato confermato dalla retorica adottata dalla propaganda del cancelliere in vista del voto. In un cartellone pubblicitario utilizza lo stesso slogan nazionalista – «Uno che parla la nostra lingua» – che compare anche sui cartelloni di Herbert Kickl, ex ministro dell’Interno dell’Fpö.  

Nel suo discorso al Parlamento Europeo, lo scorso luglio aveva affermato che «l’Europa non può essere data per garantita, anzi occorre lavorare sodo per preservare il progetto di pace e stabilità». Uno dei punti su cui il premier austriaco è più attento è proprio la gestione dei flussi migratori alla frontiera con la Germania. Il prossimo cancelliere è uno dei fautori della chiusura della rotta balcanica – rafforzando, a suo dire, le frontiere esterne per salvaguardare la libera circolazione nell’area Schengen. Ha ingaggiato con l’Italia una disputa sui flussi migratori nel 2017, quando Vienna si era spinta ad annunciare che avrebbe schierato l’esercito al Brennero.

© LaPresse – Sebastian Kurz e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, a margine del loro incontro del 18 settembre 2018

Il cambio di colore dell’alleanza di governo, da nero a verde, non costituirà con ogni probabilità una rivoluzione delle proposte della politica austriaca. Certamente però sembra costituire un richiamo all’ordine rispetto a quello che sino a poco tempo fa era stato un laboratorio del populismo europeo.

Classe 92', fondatore e direttore di The Pitch. Stefano vanta una laurea in Storia, una in Relazioni Internazionali, oltre a innumerevoli esperienze lavorative sottopagate. Sogna di commentare un’elezione presidenziale negli USA e il Fano in Serie B: ambedue da direttore di The Pitch.

la tua finestra sul mondo

Iscriviti alla newsletter:

    SEGUICI: