Gli NFT sono arrivati nei videogiochi. Ma a cosa servono veramente?

È di ieri (nel momento in cui scrivo, ndA) la notizia che Ubisoft ha deciso di mettere in campo il suo primo progetto NFT applicato ai videogiochi, creando oggetti acquistabili e vendibili tramite questo tipo di tecnologie. Nella sfera Twitter del settore l’annuncio è stato accolto da un coro quasi unanime di sdegno, rabbia e delusione.

Come mai?

L’annuncio del progetto, attualmente non in elenco sul canale Youtube dell’azienda e visualizzabile solamente se in possesso di link diretto.

Di NFT nel mondo dei videogiochi se ne sta parlando parecchio da mesi – con una divisione in fronti tra le più nette che abbia mai visto da anni: da un lato dirigenti e cryptobros dagli avatar generati casualmente, con la bava alla bocca per quello che vedono come un nuovo spazio commerciale; dall’altro game designer, giocatori, giornalisti e commentatori estremamente contrari all’idea. I giocatori in particolare vedono la cosa come un affronto: “Siete fortunati che la gente non può più vedere il numero di Non Mi Piace”, recita il commento più votato del video di cui sopra. Della scelta di Youtube di nascondere le reazioni negative ai video ne parleremo in altra sede, ma se masticate l’inglese vi invito a dare un’occhiata al tono della sezione commenti del video.

Cosa sono gli NFT, o Non Fungible Token? La risposta (molto) breve è che sono un modo per garantire la scarsità artificiale online. Un “oggetto digitale”, formato da una sfilza infinita di uno e zero, può essere copiato e condiviso all’infinito con un semplice click del mouse – una cosa che le industrie della musica, dei videogiochi, dei film e di chiunque si occupi di media hanno sempre odiato a morte e cercato di eliminare. Lo scopo degli NFT è uno solo: cercare di garantire che un certo file abbia un solo proprietario e che questo proprietario possa venderlo come preferisce.

Steam Trading Cards-Play Games to Earn Rewards | - PC ...
Un “antecedente” degli NFT nei videogiochi possono essere considerate le trading cards del negozio di videogiochi digitali Steam. Comprare giochi permette di acquisire carte giocando, da rivendere ad altri giocatori per ottenere credito (per valori solitamente misurati in centesimi, anche se con rare eccezioni).

La risposta lunga (e qui il discorso si fa tecnico) è che si tratta di certificati di autenticità su blockchain che assegnano la proprietà di un file alla persona che possiede l’NFT. Non posso entrare esageratamente nei dettagli per motivi di spazio ma, sostanzialmente, immaginate una blockchain come un libro contabile distribuito: una rete di computer enorme che registra ogni spostamento di “token” (“gettoni” digitali acquistabili) fatta dagli altri computer, criptandola e generando uno storico di tutte le transazioni eseguite fino a quel momento che viene copiato e distribuito su ogni computer connesso alla rete.

La manomissione dei dati (sulla carta) diventa impossibile, sia perchè ogni “blocco” di transazioni è legato in una “catena” crittografica alle transazioni precedenti (da cui il nome), per cui modificare un dato significa alterare a cascata l’intera catena, sia perchè mostrerebbe un risultato diverso da tutti gli altri computer legati a questa blockchain. E a differenza di altri metodi di verifica, come il confronto con un server centrale o un sistema bancario, questo metodo (ancora: sulla carta) non dipende da una singola autorità per garantire le sue transazioni.

Metto le mani avanti di nuovo: questa è una spiegazione ultra-semplificata ma necessaria, in quanto gli NFT si appoggiano a questo tipo di sistemi, usandoli per validare i file.

Perché sono odiati così tanto?

In primo luogo perché la quantità di energia utilizzata per una blockchain è così alta da essere ridicola. Questa è la cosa che salta subito agli occhi anche ai non addetti ai lavori: coordinare tutti i computer collegati per fargli fare i calcoli necessari a crittografare e registrare tutte le transazioni del network individualmente è un dispendio di elettricità migliaia se non milioni di volte maggiore rispetto a ogni altra comunicazione di dati.

L’azienda che gestisce Tezos, la blockchain utilizzata da Ubisoft, è perfettamente conscia di questo problema di immagine, per usare questo termine, e ci tiene immediatamente a far sapere che ogni transazione utilizza la stessa elettricità di 30 secondi di streaming di video. A prescindere dalla vaghezza del paragone, si tratta comunque di una quantità di energia esagerata se l’obiettivo è cambiare qualche variabile in un database; molti gestori di blockchain infatti richiedono all’utente di pagare quote a due o tre cifre per ogni transazione, in modo da rimborsarli per il costo dell’elettricità usata da loro nel registrarla.

gwei
Diversi tipi di prezzo (Gas Fees o Price, “costo della benzina”) per una transazione in Ethereum, una delle blockchain più popolari al momento. Per poter trasferire Ethereum, indifferentemente dalla quantità, l’utente deve pagare tra 30 e 40 dollari, a seconda della priorità desiderata.
Da notare che il prezzo è una previsione: il costo fluttua in continuazione e non è garantibile, e va pagato che la transazione vada a buon fine o no. Fonte: CoinMarketCap.com

Anche se l’annoso problema dello spreco di energia, particolarmente preoccupante in un periodo di crisi climatica, fosse risolto, restano comunque dubbi sulla loro effettiva utilità. Ci sono molte altre questioni come minimo discutibili, ma il problema principale resta sempre uno: non c’è niente che gli NFT possono offrire ai videogiochi che i videogiochi non possano già fare, meglio e con più efficienza. È completamente inutile, ad esempio, decentralizzare la vendita di oggetti di un gioco se questi oggetti richiedono comunque i server del gioco per funzionare, e la cui appartenenza può essere verificata tramite questi server – come è sempre stato fatto finora.

E in ogni caso, nelle (lunghissime) condizioni di vendita degli NFT di Ubisoft ci sono molte limitazioni all’acquisto e vendita controllate dall’azienda francese; il concetto di libertà totale promesso dalla tecnologia non è, di base, rispettato nella realtà – ma è invocato per assolvere l’azienda da ogni conseguenza legata ai rischi dell’uso di una tecnologia nascente.

L’unica cosa a cui porta la scelta è aggiungere strati di complessità e costi esagerati, con l’unico scopo di aggiungere l’etichetta NFT a prodotti già facilmente realizzabili e già facilmente realizzati. E attirarsi l’odio del 90% del settore. Ma allora perchè ci sono aziende che decidono di spenderci milioni?

Perché il valore principale della blockchain è di essere una bolla speculativa.

Il tweet nell’immagine, postato dal saggista Dan Olson, mostra il prezzo dei token di Tezos in dollari prima e dopo l’annuncio del lancio di Ubisoft. Il loro costo è salito enormemente e Ubisoft, che è in una partnership con l’azienda da aprile di quest’anno, ha potuto far crescere questo valore senza dover far altro che annunciare le sue intenzioni. E liquidare gli asset che potrebbero avere acquisito (disclaimer: questa è tutta speculazione e non stiamo accusando ufficialmente Ubisoft di nulla) gli permetterebbe di fare un sacco di soldi indifferentemente dal successo dell’operazione commerciale.

“Ma,” vi sento dire, “sicuramente questo tipo di operazione è controllata”. La risposta è no: ricordate quando, in precedenza, ho indicato come questi sistemi non sono dipendenti da un’autorità centrale? Il mercato delle criptovalute (e per estensione degli NFT) è un mercato azionario in tutto e per tutto, ma con pochissime regolamentazioni. Insider trading, pump and dump, wash trading e tutte le altre operazioni normalmente considerate fraudolente sono all’ordine del giorno, tanto da diventare parte dello slang del settore.

E, ancora una volta, metto le mani avanti: il discorso è estremamente complicato, estremamente tecnico e, intenzionalmente, estremamente confusionario per chi ci si avvicina dall’esterno. Lo scopo di queste tecnologie è, di base, lo stesso scopo di ogni speculazione finanziaria: convincere persone a comprare beni a prezzi altissimi nella speranza di rivenderli a prezzi ancora più alti in futuro. La paura di restare indietro e perdere il treno (FOMO, Fear Of Missing Out) è alla base di praticamente tutto il settore.

Ma una certezza c’è: NFT e blockchain sono adorati da chi i videogiochi li mette in vendita e odiati da chi i videogiochi li fa, li usa o ne parla. Steam, il semi-monopolistico mercato principale dei videogiochi su PC, ha dichiarato che i giochi che usano NFT saranno rimossi dalle sue pagine. Cosa succederà in futuro è tutto da vedere; tolti gli esperimenti già in corso, di aziende “tradizionali” che iniziano a bagnarsi i piedi ce ne sono. Bisognerà capire se il pubblico li accetterà nella pratica e se, sul lungo termine, si riveleranno un fuoco di paglia o no.

Stefano Zocchi (1992), nato analogico e cresciuto digitale. Laureato in Lettere Moderne e sfociato accademicamente nell'editoria multimediale, scrive per lavoro e per passione di videogiochi e tecnologia, con un particolare interesse per il potenziale narrativo ed economico del settore. A tempo perso crea giochi indipendenti e musica

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