Tra Venere e Marte: oltre il binarismo di genere

Cosa vuol dire essere intersex? Vi raccontiamo la minoranza invisibile che lotta per i propri diritti oltre il binarismo di genere.

Da sempre siamo abituati a dividere le persone in due categorie uniche ed escludenti: quelle di maschio e femmina, che troviamo in tutti i documenti ufficiali nei quali si richiede di specificare il nostro sesso. Nel corso della nostra vita questo assunto viene confermato continuamente da numerosi elementi, quali per esempio i grembiuli dei bambini delle scuole elementari – tipicamente blu per i maschi e rosa o bianchi per le femmine – i bagni (divisi per sesso) e così via. Per questo potremmo restare sopresi nello scoprire che i sessi nella nostra specie non sono solo due, ma almeno cinque.

Esiste infatti un ampio gruppo di persone che si situa al centro rispetto a questi due estremi e rientra dunque in quella terza categoria, una minoranza tutt’ora invisibile, delle persone intersex.

Bandiera Intersex

maschio e femmina non bastano

Se questa notizia vi giunge completamente nuova è per via del fatto che nel nostro Paese i sistemi di informazione tradizionali affrontano raramente tematiche relative alla sessualità. Inoltre nel programma scolastico non sono previsti percorsi di educazione sessuale anche in molti casi in cui le scuole stese istituiscono programmi di basici.

La comunità scientifica internazionale ha in realtà accettato questo concetto da diversi anni. Risale infatti al 1993 il lavoro della ricercatrice Anne Fausto Sterling, una sessuologa esperta in biologia dell’identità di genere e professoressa presso la Brown Univerisity, la quale pubblicò un articolo intitolato “I cinque sessi; perché maschio e femmina non bastano”. 

L’autrice presenta un’analisi della storia moderna dell’intersessualità in relazione alle tematiche mediche e legali implicate nelle pratiche di normalizzazione del sesso. Questo lavoro sottolinea come la categoria delle persone intersessuali racchiuda al suo interno almeno tre variazioni di genere: le persone ermafrodite “vere” caratterizzate da condizioni di coesistenza delle gonadi maschili e femminili (ad esempio un testicolo e un ovaio o  gonadi con tessuto misto di ovaio e testicolo), pseudo-ermafroditi maschili (o “merms”) che hanno i testicoli e alcuni aspetti del sistema riproduttivo femminile, ma non le ovaie; pseudo-ermafroditi femminili (o “ferms”), che hanno le ovaie e alcuni aspetti dei genitali maschili, ma non i testicoli.

Recentemente la stessa autrice ha rivisto la propria teoria considerando imprecisa l’idea di un continuum tra i due sessi. Infatti secondo la Fausto-Sterling sarebbe più opportuno considerare il genere come uno spazio multidimensionale all’interno del quale si inseriscono le variazioni di genere. In ognuno di noi le caratterstiche sessuali sono localizzate in quello spazio, rendendo alcune persone più stereotipicamente mascoline o femminili e altre con caratteri meno accentuati o ancora con alcune caratteristiche di un genere mentre altre dell’altro.

Oltre a riconoscere la maggiore complessità della realtà rispetto al suo precedente modello l’autrice stessa si pentì della scelta del termine ermafrodita “vero” (poichè poteva dare adito a interpretazioni errate).

Ma quali sono le caratteristiche dell’intersessualità?

Intersessualità è un termine ombrello all’interno del quale rientrano diverse condizioni relative a variazioni negli elementi del corpo considerati sessuati. Le persone intersessuali si caratterizzano quindi per la presenza di caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni di corpo maschile e femminile.

Le forme di intersessualità possono comprendere variazioni fisiche rispetto ai genitali, alle gonadi, ai marker genetici, agli ormoni, ai cromosomi, agli organi riproduttivi e a tutto l’aspetto somatico del genere di una persona.

All’interno della classificazione di intersessualità rientrano oltre 40  condizioni differenti che riguardano tra lo 0,05 e l’1,7 % della popolazione mondiale (Blackless et al. 2007), ovvero fino a 150 milioni di persone, un mumero paragonabile a quello delle persone con i capelli rossi sul nostro pianeta e quasi tre volte le persone che vivono in Italia.

Non tutte le forme di intersessualità sono visibili alla nascita, alcune si manifestano esclusivamente dalla pubertà in poi. Altre ancora sono invisibili e possono essere scoperte esclusivamente tramite determinati esami medici; dunque alcune persone intersessuali non sanno neanche di esserlo.

Prendiamo ad esempio la sindrome di Klinefelter: le persone con questa condizione si caratterizzano per la presenza di almeno due copie del comosoma X ed un corredo cromosomico del tipo 47 XXY (ma anche, più raramente 48XXXY ecc.). Sebbene si tratti di una condizione a incidenza piuttosto elevata (si stima circa uno su cinquecento bambini nati vivi) solo un quarto dei soggetti riceve una diagnosi corretta nell’arco della propria vita e generalmente questo accade nel corso di diagnosi genetiche relative all’infertilità di coppia.

Le caratteristiche di questa condizione sono per l’appunto sfumate e possono comprendere ginecomastia, atrofia testicolare (testicoli piccoli e duri), minor sviluppo dei caratteri sessuali secondari (quali per esempio la peluria, la massa muscolare, un timbro vocale più alto rispetto alla media maschile, minori tassi di alopecia).

Ad oggi le persone affette da sterilità, dovuta alla sindrome di Klinefelter, possono in alcuni casi avere figli, grazie alle tecniche di riproduzione assistita.

La persona dietro all’etichetta

Le persone Intersex si trovano inoltre a dover affrontare stigmatitizzazioni e discirminazioni fin dai primi anni di vita.  Perfino nel contesto familiare possono essere vittime di infanticidio, abbandono o isolamento. 

Inoltre, sebbene queste variazioni non comportino generalmente rischi per la salute dell’individuo, vengono spesso operate in età infantile allo scopo di “normalizzare” le differenze genitali. Queste operazioni rappresentano una violazione del diritto all’autodeterminazione della persona in quanto i bambini non vengono messi in condizione di esprimere un consenso informato rispetto all’operazione.

Gli interventi sono inoltre irreversibili e possono comportare conseguenze molto spiacevoli quali infertilità, dolore cronico, incontinenza, perdita della sensibilità e disagio psichico.

Essere soggetti fin dall’infanzia a ripetute visite genitali ed essere trattati come un’anomalia medica, con stuoli di specialisti che assistono alle proprie visite genitali, può costituire un vero e proprio trauma per il bambino.

Le persone Intersex alla nascita vengono assegnate ad uno dei due sessi. É possibile che si identificichino con quel sesso (Cis-gender) o che non vi si identifichino e si rispecchino nell’altro sesso (trans-gender) o ancora che si rivedano in alcuni elementi di entrambi i sessi.

L’attenzione ossessiva spesso riservata all’identità di genere delle persone Intersex rappresenta un elemento di ansia e stress in una fase della vita complessa e in relazione a un tema molto personale. Questo può compromettere il benessere psicologico e sessuale dell’individuo.

Recentemente stiamo assistendo a una maggiore attenzione da parte di organismi nazionali e internazionali per la tutela dei diritti delle persone intersex e in particolare al principio di autodeterminazione dell’integrità fisica. I trattamenti invasivi ingiustficati sono considerati a tutti gli effetti una violazione dei diritti umani riconosciuta a livello internazionale.

Secondo l’articolo 32 dei principi di Yogyakarta, il documento relativo all’applicazione dei diritti umani fondamentali  nelle aree relative all’orientamento sessuale e all’identità do genere “[n]essuna persona dovrebbe essere sottoposta a procedure mediche invasive e irreversibili che possano modificare le  caratteristiche sessuali senza il loro consenso informato e libero a meno che non sia necessaria per evitare un danno irreperabile alla persona”.

Ma a che punto siamo in Italia?

In Europa negli ultimi anni stiamo assistendo a una lento miglioramento nella tutela dei diritti relativi all’identità di genere e alla sessualità. Per esempio nel 2022  la Germania è stata il terzo paese, dopo Malta (nel 2015) e Portogallo (nel 2018), a vietare ufficialmente gli interventi cosmetici di normalizzazione del sesso dei bambini intersex

Nel nostro Paese, tuttavia, questi argomenti restano tutt’oggi un tabù e non ricevono sufficiente attenzione mediatica. Di conseguenza non dovrebbe sorprenderci che la Rainbow Map di Ilga Europe, la classifica dei paesi europei che valuta annualmente il rispetto dei diritti umani la promozione di politiche ugualitarie per le persone Lgbti+, ha posizionato l’italia al 35esimo posto sui 42 paesi presi in considerazione.

Nel 2016 e nel 2019 il nostro Paese è stato ammonito dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha ammonito l’Italia per le pratiche di mutilazioni genitali intersex (IGM, Intersex Genital Mutilations).

Secondo la Commissione EU, “il 62% delle persone intersex che hanno subito un intervento chirurgico ha dichiarato che né loro né i loro genitori hanno dato un consenso pienamente informato prima di un trattamento medico o di un intervento per modificare le loro caratteristiche sessuali”.

Il 4 novembre 2019, si è tenuta la 34esima sessione del Gruppo di Lavoro della Revisione Periodica Universale (Universal Periodic Review – UPR) che ha esaminato lo stato dei diritti umani in Italia.

All’Italia sono state fatte 17 raccomandazioni  sui diritti umani delle persone LGBTI+, tra cui il divieto di interventi chirurgici cosmetici su bambini intersex. L’Italia ha riconosciuto l’esigenza di intervenire in tal senso ma, ad oggi, non vi sono leggi specifiche sull’argomento.

Intersessualità e Sport

Semenya Caster

Un contesto interessante che ci può aiutare a capire le numerose implicazioni che può avere la mancanza di tutele per le persone intersex ci arriva dal mondo dello sport.

Si tratta della storia di Caster Semenya (classe 1991), una mezzofondista sudafricana vincitrice di due medaglie d’oro olimpiche (Londra e Rio de Janeiro) e di tre campionati mondiali negli 800 metri femminili.

Semenya è una donna intersessuale caratterizzata da livelli di testosterone più elevati del normale. Per questa ragione le è stato imposta una terapia medica che riducesse i livelli di testosterone in alternativa all’esclusione dalla partecipazione ai maggiori eventi sportivi.

Sempre più atlete, come Semenya, hanno deciso di opporsi a questa norma, combattendo nei tribunali e cercando di gareggiare in batterie dove non siano ancora stati posti certi divieti, come i 200 metri. La mezzofondista, che dà il suo meglio negli 800 metri, è ora in attesa di un giudizio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, presso cui ha fatto appello.

A prescindere dal singolo caso, dobbiamo interrogarci sul motivo per cui dei valori superiori al normale livello ormonale siano da considerarsi anormali e quindi da penalizzare. In fin dei conti per essere un’atleta a livello olimpionico è di per sé necessario essere una persona con dei valori fisici fuori dalla media.

Non ci verrebbe mai in mente di fare gareggiare solo gli atleti di altezza media o di proporre un intervento correttivo ai nuotatori con le braccia troppo lunghe.

È dunque necessario interrogarsi sulle motivazioni che ci portano a vedere come accettabili alcune peculiarità e inaccettabili altre, sul perché non riusciamo ancora a vedere la diversità come un valore aggiunto per la nostra società ma qualcosa di cui vergognarsi. Prendere coscienza dell’esistenza del problema è il prerequisito fondamentale per attivare un cambiamento.

Sono Eugenio, studiare la mente umana e i suoi meccanismi è la mia vera passione. Ho due lauree in psicologia e amo condividere le mie conoscenze. Quando ero piccolo i miei amici volevano essere calciatori, io volevo essere Piero Angela.

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