PERSUASIONE: L’ADATTAMENTO POP CHE NESSUNO VOLEVA

Jane Austen non passa mai di moda, giusto? Due secoli dopo la sua morte, divoriamo ancora i suoi romanzi, e le sue opere adattate per lo schermo sono successi assicurati. È il potere dei classici (di cui abbiamo parlato qui). Un potere che di certo non sfugge a majors cinematografiche e colossi dello streaming.

Romanticismo e coscienza di classe, famiglie in difficoltà e amicizie disinteressate, sono tutti elementi che chiunque, in qualunque epoca, può apprezzare. Specialmente se lo stile ironico e la profonda comprensione della natura umana di Jane Austen si uniscono allo stile di registi e sceneggiatori con una visione chiara e uno stile deciso.

Ma che succede quando si cerca di trarre un film da uno dei suoi più bistrattati romanzi con il solo scopo di monetizzare la popolarità dei period drama?

Una scena di Persuasione – Credits: Netflix, MRC

Succede che su Netflix approda Persuasione, l’adattamento pop che nessuno voleva. E che ha subito fatto molto discutere per il suo stile definito “alla Fleabag”. Nella pellicola diretta da Carrie Cracknell, la protagonista Anne (Dakota Johnson) rompe spesso la quarta parete, rivolgendosi direttamente al pubblico.

Nei suoi monologhi racconta di come, otto anni prima, abbia rifiutato la proposta di matrimonio dell’uomo che amava, su consiglio della madrina – da qui, la “persuasione” a cui si riferisce il titolo. Ora che quell’uomo, il capitano Wentworth (Cosmo Jarvis) è tornato nella sua vita, Anne deve fare i conti con il proprio cuore spezzato, e con la poca stima che hanno di lei i suoi familiari, per i quali, in quanto “zitella”, è un peso.

La delicatezza del romanzo, tutto incentrato sulla vita interiore della protagonista, non si concilia bene con lo stile poco ortodosso del film. Si è cercato di trasformare Anne in un’eroina ironica e spregiudicata. Ma Anne non è Elizabeth di Orgoglio e Pregiudizio; e non è nemmeno Emma, l’altra eroina più famosa uscita dalla penna di Jane Austen. È invece una ragazza riservata e sensibile, più attenta alle esigenze degli altri che alle proprie.

Una scena di Persuasione – Credits: Netflix, MRC

Così, nel film la protagonista sembra sdoppiarsi in due persone diverse: una diretta e tagliente, che parla sfacciatamente al pubblico, e un’altra dolce, altruista fino all’annullamento di sé, che è quella conosciuta (e disprezzata) da gran parte degli altri personaggi.

E a proposito degli altri: il coro di personaggi che circondano Anne è caricaturale, grottesco. Non c’è una sola figura credibile. Tutti sono macchiette, o versioni viste e riviste di personaggi di altri film e serie. C’è la madrina spiritosa ma con la testa sulle spalle, la sorella malata immaginaria, l’amico deus-ex-machina che arriva al momento giusto per fare da Cupido.

Per non parlare del protagonista maschile, che dovrebbe essere l’oggetto del desiderio. Invece è perennemente fuori posto, con la sua parlata rigida, la voce monocorde e il viso altrettanto poco espressivo, bloccato in una smorfia di impacciato disagio misto a perplessità.

Al suo confronto il rivale William (Henry Golding), che dovrebbe essere un affascinante ma pericoloso mascalzone, sembra perfetto per Anne fin quasi alla fine del film. Anche perché con William, come con nessun altro personaggio, la Anne interiore emerge dal suo guscio.

Una scena di Persuasione – Credits: Netflix, MRC

Nel film, la scelta di usare dialoghi moderni e terminologia da TikTok è tanto fuori luogo quanto incostante. Non c’è traccia di questa “modernizzazione” in molte scene, come se gli autori se ne fossero dimenticati. E anzi ci sono alcuni passaggi che, trasposti fin troppo fedelmente dal romanzo, avrebbero avuto bisogno di essere “svecchiati”.

Questo perché il “trattamento Fleabag” è solo uno stratagemma narrativo che non può sostituire una storia ben costruita e con qualcosa di sincero da dire. Anche se, più ancora di Fleabag, il punto di riferimento spesso sembra essere Il diario di Bridget Jones. Un monologo in voice-over da parte di una protagonista che lamenta la sua vita triste e senza amore mentre affoga i dispiaceri nel vino. Ma sempre con la battuta pronta.

E a dispetto del continuo rivolgersi al pubblico da parte di Anne, l’introspezione è quasi assente. Anne mente a sé stessa, alle persone che la circondano, agli spettatori. E lo fa col sorriso sulle labbra, disillusa ma ironica. A guidare la trama sono i colpi di scena che stridono con la storia, mancando qualsiasi contestualizzazione.

Persuasione non ha nemmeno la decenza di farsi giustamente odiare. È profondamente triste nella sua insipida, insicura bruttezza. E soprattutto, per quei brevi momenti di poesia in cui, forse contro la stessa volontà dei creatori, ti fa capire che il potenziale per fare un buon film c’era. Ma è andato sprecato.

Per capire meglio cos’è andato storto, basta guardare Clueless, che si conferma il miglior adattamento in chiave moderna di un romanzo di Jane Austen. Perché mantiene i punti cardine dell’originale ma senza farsi soffocare né da un eccesso di fedeltà né dalla pretesa di “parlare ai giovani”.

Il messaggio di certe storie è tanto potente da poter essere condiviso anche dopo secoli. Per questo sono classici. E bisogna mettersi veramente d’impegno per soffocare un classico sotto falso cinismo, strizzate d’occhio e sarcasmo un tanto al chilo.

Il paradosso è che, proprio come Dakota Johnson non nasconde la sofferenza di Anne, così un adattamento malriuscito non è in grado di coprire del tutto lo spirito del romanzo originale. Forse allora sarebbe meglio rileggere quello, con attenzione, prima di provare nuovamente a farne un film.

Maria Antonietta Carroni (31), sarda nostalgica, romana per colpa di un master in cinema e tv. Inventa storie ma le piace anche commentare quelle degli altri. E usarle come occhiali per vedere meglio la realtà. “Siamo tutti storie, alla fine”.

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