Elezioni in Libano: Hezbollah non ha più la maggioranza

la crisi economica e le principali incognite del voto

Il Libano è tornato al voto per la prima volta dall’inizio della crisi economica del 2019. Gli ultimi due anni e mezzo sono stati durissimi per il Paese dei Cedri, e le speranze di cambiamento del movimento della thawra del 2019 hanno gradualmente lasciato spazio alla devastazione dell’esplosione del porto di Beirut e al deterioramento economico (aggravato dalla pandemia) che ha visto la lira libanese perdere il 90% del proprio valore. La tornata elettorale doveva essere un banco di prova per i nuovi partiti della società civile nati dal movimento di protesta, e il crescente numero di elettori della diaspora libanese, tradizionalmente meno legati alle logiche settarie dei partiti tradizionali, lasciava intravedere le possibilità per l’ingresso di un numero consistente di delegati estranei ai giochi di potere e portatori delle istanze emerse nei mesi di incontri e assemblee di piazza degli ultimi mesi del 2019.

La decisione dell’ex premier Saad Hariri di non partecipare alle elezioni e di ritirarsi dalla vita politica lasciava più di un interrogativo sulla rappresentanza del campo sunnita. Secondo il leader di Corrente futuro, spinto alle dimissioni dalla carica primo ministro nell’ottobre del 2019 e che già da tempo vive a Dubai, il Libano è ostaggio degli interessi dell’Iran e non è possibile, al momento, portare avanti un progetto politico credibile. Proprio il rapporto controverso tra Hariri e Hezbollah era stato, negli anni scorsi, uno dei motivi del rapporto turbolento tra l’ex premier e l’Arabia Saudita, che pretendeva una postura più dura nei confronti del Partito di Dio. Gli equilibri all’interno del campo cristiano, infine, rappresentavano il vero ago della bilancia per il nuovo assetto del Parlamento libanese. In particolare, restava da verificare la tenuta del Free Patriotic Movement (FPM) del presidente Aoun, alleato di Hezbollah e principale forza parlamentare nella scorsa tornata elettorale, e il risultato delle Forze libanese e del Kataeb.

L’esito delle urne e i nuovi equilibri

I risultati della tornata elettorale hanno confermato il sostanziale monopolio nel campo sciita da parte del tandem Amal-Hezbollah, che hanno ottenuto rispettivamente 15 e 13 seggi e hanno consolidato la propria forza nelle aree meridionali e nella valle della Bekaa. A fronte del calo dei consensi del FPM, che ottiene 17 seggi, si determina una situazione in cui i partiti che sostengono l’alleanza pro-siriana dell’8 marzo si fermano a 62 dei 65 seggi necessari per formare una maggioranza di governo, una brusca flessione rispetto ai 71 seggi del 2018. Sono diversi i fattori che hanno determinato la parziale debacle del FPM, e pesa, su tutti, l’astio generalizzato nei confronti del leader del partito Gebran Bassil, genero del presidente Aoun e indicato nel corso delle proteste del 2019 come una delle figure più corrotte del paese. Bassil, tra le altre cose, è sottoposto a sanzioni da parte statunitense, che hanno anche lo scopo di indebolire il leader del più importante alleato di Hezbollah nel Parlamento libanese. A fronte di una sostanziale tenuta del blocco sciita, molti degli alleati storici drusi, sunniti e cristiani hanno perso i loro seggi in varie aree del paese.

Mentre Hezbollah e i suoi alleati vengono ridimensionati ma non sconfitti, i veri vincitori della tornata elettorale sono quelle Forze Libanesi che solamente sei mesi fa si erano scontrate con i miliziani del Partito di Dio per le strade di Beirut, rievocando gli spettri di un conflitto civile che nel Paese dei Cedri resta latente. Il partito guidato da Samir Geagea (che prese il posto di uno dei principali responsabili del brutale massacro di Sabra e Shatila del settembre dell’82, Elie Hobeika, alla guida delle Falangi e poi del partito delle Forze Libanesi) ha ottenuto 19 seggi e si propone come principale forza in un Parlamento dalla composizione frastagliata. Le Forze Libanesi sono oggi un partito sostenuto e finanziato dall’Arabia Saudita e che persegue istanze filo-occidentali. Il boicottaggio del voto da parte di gran parte degli elettori sunniti, su invito di Saad Hariri, ha determinato una grande frammentazione del campo sunnita che, paradossalmente, favorisce proprio Hezbollah e i suoi alleati, dando vita a una situazione in cui non esiste una forza politica in grado di creare una maggioranza coalizzandosi con le Forze Libanesi.

Una piscina gonfiabile allestita nel giorno delle elezioni nel quartiere sunnita di Tariq al-Jadideh, a Beirut. In seguito alla decisione dell’ex premier Saad Hariri di non partecipare alle elezioni molti dei suoi sostenitori hanno deciso di boicottare il voto e di manifestare il proprio disinteresse per la tornata. (Credit: Kabalan Farah/L’Orient Today)

I risultati dei partiti della contestazione

L’affluenza è stata piuttosto bassa e si è fermata al 41% contro il 49% del 2018, in gran parte per via del boicottaggio del voto da parte degli elettori sunniti. I voti dei cittadini libanesi residenti all’estero è invece più che raddoppiato, contribuendo a determinare i buoni risultati ottenuti dai candidati provenienti dalla società civile e espressione dei gruppi nati nel corso della contestazione. Sono 13 i seggi conquistati dai candidati della thawra, un risultato di portata storica per un paese dominato dalle famiglie dei signori della guerra e dal settarismo. La frammentazione in piccoli partiti delle forze emerse dalla contestazione era stata vista nei mesi scorsi come un limite all’efficacia delle istanze e delle rivendicazioni degli esponenti della società civile, ma il risultato è andato oltre le aspettative e apre una nuova era per la politica libanese.

Già nelle ore successive alla chiusura delle urne, a Beirut e in altre città del paese i luoghi simbolo della sollevazione dell’ottobre 2019 sono stati attaccati da militanti di Hezbollah e delle forze politiche tradizionali. Ancora una volta, le elezioni sono state caratterizzate dalla compravendita di voti e non sono mancati gli scontri tra le fazioni rivali. Il Parlamento emerso dalla tornata del 15 maggio dovrà eleggere, tra l’altro, il nuovo Presidente della Repubblica, e i prossimi mesi saranno animati dai tentativi di formare una nuova coalizione di governo. Nelle settimane precedenti al voto, esponenti di Hezbollah avevano precisato che “il risultato elettorale non è in alcun modo collegato al ruolo che il Partito di Dio ricopre nella resistenza contro Israele e l’Occidente”. Ma per la prima volta il sistema ha iniziato a scricchiolare e, mentre la crisi economica continua a galoppare e la guerra in Ucraina minaccia di trasformarsi in una catastrofe alimentare, nel piccolo paese levantino la scintilla della rivolta sembra pronta a riaccendersi da un momento all’altro.

Classe 1989. Ho studiato scienze politiche e cooperazione internazionale. Appassionato di montagna e di sport, seguo e studio la realtà mediorientale

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