I Mondiali in Qatar e i diritti umani

Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo dei Mondiali in Qatar e della violazione dei diritti umani.

I Mondiali di calcio che si stanno svolgendo in Qatar fanno parlare la stampa e l’opinione pubblica italiana ed estera da settimane. Si sono aperti il 20 novembre e proseguiranno fino a oltre la metà di dicembre ma, come per tutte le grandi competizioni sportive, al centro del dibattito non c’è solo il calcio. I primi Mondiali del Sud Ovest asiatico, infatti, fanno parlare per le rigide norme comportamentali richieste alle squadre e alla tifoseria e per la loro matrice legata all’oppressione dei diritti umani, che naturalmente valica i confini dello sport e riguarda l’intera società.

Come ne ha parlato la stampa italiana?

Visto il genere della notizia, partiamo dalla Gazzetta dello Sport, che fin dal titolo usa il suo stile tipicamente vivace e ricco di giochi di parole stucchevoli. Si tratta del cosiddetto linguaggio brillante: “Ombre sul Golfo: tanti miliardi per il Mondiale, ma quanti calci ai diritti”. In apertura vengono sintetizzati gli argomenti caldi: “Prende il via l’edizione della Coppa del Mondo più controversa: morti sul lavoro, diritti lgbt+, accuse di sportwashing, la polemica sulla birra…”.

Dopo una breve panoramica sulle ingenti spese che il Qatar ha intrapreso per ospitare i mondiali – “Sei stadi sono stati costruiti da zero e uno è stato ammodernato. Sono nati un aeroporto, la metropolitana, strade, un centinaio di hotel, perché lo sport è la chiave per proporsi come riferimento nel Medio Oriente e ponte con l’Occidente” – si passa ai diritti.

I primi a essere oppressi sono quelli della comunità LGBTQ+, considerando anche che l’omosessualità è illegale, punibile con il carcere, e “Human Rights Watch ha denunciato arresti e maltrattamenti ai danni della comunità Lgbt+”. A ciò si aggiunge lo sfruttamento lavorativo, evidenziato da Amnesty International che racconta di “operai in sistemazioni squallide, orari folli, condizioni terribili, con temperature a 40 gradi e oltre”.

Per attutire questo quadro dalle tinte fosche, si cita la conferenza stampa in cui il presidente della FIFA Gianni Infantino ha detto “Oggi mi sento del Qatar. Oggi mi sento arabo, africano, gay, disabile, oggi mi sento un lavoratore migrante”, difendendo le politiche sociali in adozione in Qatar. Al suo fianco il portavoce della Federazione Bryan Swanson ha fatto coming out: “Sono qui in Qatar e sono gay. Alla Fifa siamo un’organizzazione inclusiva”. Alla Fifa, forse, ma i dati mostrano che a Doha no.

Anche Il Corriere della Sera si inserisce nel filone di riflessioni sulle componenti politiche e sociali delle manifestazioni sportive: “Mondiali Qatar 2022 tra diritti civili e affari: perché non è mai solo sport”. “Lo sport non è mai soltanto sport. Soprattutto quando diventa una competizione mondiale, un’occasione di propaganda e di affari” si legge in apertura. Si fa quindi una panoramica storica dei momenti in cui le Olimpiadi hanno avuto un ruolo cruciale dal punto di vista politico e sociale.

Dopo una carrellata di eventi sportivi di grande impatto, si giunge alla conclusione “In sintesi, la politica e il business sono sempre congiunti ai grandi eventi dello sport. Questo non giustifica gli scandali di Qatar 2022, l’assegnazione tutt’altro che limpida, il costo umano inaccettabile delle infrastrutture, l’impatto ambientale degli stadi, l’oscurantismo dei governanti. Ma questo non può impedirci di parlare di calcio” motivata come “Perché alla fine, quando cominciano le competizioni, il contesto tende — purtroppo — a scomparire, e gli occhi del pubblico mondiale finiscono inevitabilmente per concentrarsi sul pallone. Non dico che sia giusto; dico che è così. Semmai c’è da lavorare per moralizzare il calcio internazionale, rendere trasparenti i meccanismi d’assegnazione, esigere standard di umanità e di sicurezza. Ed è utile ricordarsi che i Paesi democratici, dove sono rispettati i diritti umani e la legge prevede l’uguaglianza tra le persone «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3 della Costituzione italiana), restano nel mondo una minoranza”.

La conclusione dell’articolo infantilizza la tifoseria e ne giustifica l’interesse inconsapevole verso Qatar 2022: “Non credo si possano condannare gli appassionati che seguiranno i Mondiali in tv. […] Il calcio è l’infanzia del mondo. […] I nostri bambini non sono colpevoli di nulla”.

Rai News si concentra invece sulla risoluzione del Parlamento europeo verso il Qatar, che deplora “la mancanza di tutele per i tanti lavoratori migranti morti costruendo gli stadi”. Sempre nel documento ufficiale, si parla di una corruzione dilagante, sistemica e profondamente radicata all’interno della FIFA, che ha causato la scelta del Qatar come Paese ospitante dei Mondiali. La conclusione è esposta con semplicità: “Per proteggere atleti e tifosi e porre fine alla pratica del cosiddetto sportswashing, gli eventi sportivi internazionali non dovrebbero essere assegnati ai Paesi che violano i diritti fondamentali e umani e dove la violenza di genere è sistematica, hanno affermato ancora i parlamentari europei”.

Infine l’AGI prende il via dalle parole di Infantino pronunciate durante una delle conferenze stampa alla vigilia dei Mondiali: “Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni, dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 prima di iniziare a dare lezioni morali alle persone”. Le citazioni riportate cercano di destreggiarsi tra gli evidenti aspetti problematici della società qatariana e la volontà di non condannare la manifestazione sportiva. In questa direzione vanno indubbiamente le dichiarazioni di Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia: “Nessuno si sarebbe occupato di diritti umani se non ci fossero stati i Mondiali e questo se vogliamo è un aspetto positivo”.

Leggo, scrivo e ne parlo. Sono una giornalista, un'insegnante. Mi occupo di diritti e conduco il podcast Cristianə a chi?

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