Razzia di stato: il fascismo e la spoliazione dei beni degli ebrei italiani

A quasi 84 anni dall’emanazione delle leggi razziali italiane, benché sia presente una storiografia solidissima in merito e la tematica abbia raggiunto ampie fasce della società civile, permangono comunque, duri a morire, stereotipi, credenze, sentiti dire, alcuni anche fastidiosi:

le leggi razziali sono state imposte da Hitler“, “il fascismo non era antisemita“, “le nostre leggi razziali sono state più blande di quelle tedesche“, “gli italiani sono stati più buoni dei tedeschi con gli ebrei” (1).

La sensazione è che si ignori, in parte, l’incredibile «dimensione dell’offesa inflitta agli ebrei dal fascismo» di cui, l’eliminazione fisica, esito vergognoso ed imperdonabile, fu solo una tappa, quella finale. Prima degli arresti, delle deportazioni e dei lager, gli ebrei italiani subirono la spoliazione progressiva e sistematica dei loro diritti. Il regime, infatti, scelse autonomamente e consapevolmente di isolare gli ebrei italiani dalla vita economica e sociale del Regno (potremmo parlare anche di Impero, dato che la stessa sorte colpì anche gli ebrei presenti nelle colonie italiane). La legislazione razziale del periodo 1938-1943 colpì violentemente i diritti e i beni ebraici. Riguardo ai secondi, la storiografia ha prodotto alcuni studi, sia generali che locali, capaci di dipingere un quadro unitario e già complessivo; mancano però approfondimenti specifici su realtà importanti come Roma e Milano. In generale, però, al di fuori del mondo accademico, sembra non esserci consapevolezza che il fascismo operò una vera e propria razzia ai danni degli ebrei italiani che si sommò al contestuale annullamento dei diritti e alla successiva eliminazione fisica.

Le case e le cose

Se l’abbandono della scuola per docenti e studenti, la cacciata dalle pubbliche amministrazioni e le decine di divieti a cui l’ebraismo italiano fu sottoposto, sono argomenti generalmente conosciuti, lo stesso, però, non vale per il tema della sottrazione dei beni e proprietà ebraiche. Il fascismo operò un’oculata razzia attraverso un’attività di esproprio, sequestro e confisca, che, seppur graduale, si dimostrò capillare ed intransigente. Questa vicenda, inserita in una più articolata e vasta campagna discriminatoria, toccò, con modalità ed intensità differenti, tutto il Regno. Industrie, piccole e medie aziende, negozi, immobili, terreni, conti correnti, libretti postali, mobili ma anche beni di consumo quotidiano generalmente di scarso valore materiale, ma di inestimabile valore affettivo per i proprietari. La proprietà immobiliare, quella commerciale e quella industriale rappresentavano motivo di orgoglio e rivalsa sociale, espressione di una sfida vinta e possibilità di riconoscimento di uno nuovo status socio-economico acquisito, con l’ingresso ufficiale nel mondo della borghesia.

La casa divenne presto luogo della famiglia allargata e delle tradizioni, i fabbricati commerciali e industriali la manifestazione di una presenza nel ciclo economico di un territorio, la possibilità di costruire legami che non fossero esclusivamente confinati ai membri della propria comunità di riferimento, una finestra sul mondo irrinunciabile per chi aveva vissuto, fino a poco tempo prima, entro un confine stabilito da altri.

La persecuzione dei diritti e la contestuale spoliazione dei beni e proprietà di industriali si abbattè su tutto questo, scuotendo e devastando nel profondo la comunità ebraica italiana e, di fatto, arrestando quel processo di integrazione che dalla promulgazione dello Statuto Albertino (1848), con alterna fortuna ed intensità, animò le autorità pubbliche e la società italiana nei confronti degli ebrei.

Fonte: Fondazione 1563 – Compagnia SanPaolo
Norme ed attori

Con una violenta e penetrante campagna antisemita, già nella prima metà del 1938, il fascismo scelse di veicolare l’immagine di un ebraismo prosperoso ed affermato, capace di direzionare interi settori dell’economia della italiana. Lo stereotipo dell’ebreo ricco ed affarista, presente in tutte le campagne antisemite europee, divenne ben presto strumento di propaganda feroce per la svelta individuazione di un nemico comune da allontanare, spogliare, marginalizzare. In verità, l’ebraismo italiano, nonostante dal confronto con la popolazione italiana emerga quanto il mondo ebraico godesse generalmente di una condizione maggiormente agiata, si caratterizzò per un’appartenenza socio-economica medio-bassa (2).

Il fascismo, a partire dal febbraio 1939, produsse una legislazione economica in chiave antiebraica piuttosto complessa e minuziosa che, però, ebbe uno spartiacque preciso: la caduta del fascismo e la nascita della R.S.I. Infatti, fino al 1943, ad eccezione dei beni industriali con più di cento dipendenti e quelli di interesse strategico nazionale, nessun proprietà venne sequestrata e/ confiscata; la vita commerciale ed industriale ebraica, seppur con limitazioni sempre più gravi, continuò. Ai conduttori e proprietari venne richiesto obbligatoriamente di denunciare il proprio bene al Consiglio provinciale dell Corporazioni di competenza, senza però che questo comportasse ulteriori restrizioni o provvedimenti: furono denunciate più di tremiladuecento aziende e più di settemila tra beni mobili e immobili (3). La svolta nella gestione dei beni ebraici è da cercare in due documenti che segnarono la vita del Regno fino alla fine del conflitto: il primo è la Carta (o Manifesto) di Verona, costituzione della R.S.I. e “promulgata” nel novembre 1943, che, all’art. 7, stabilì esplicitamente che gli ebrei fossero considerati stranieri e, quindi, nemici. Il secondo, invece, è l’ordine di Polizia n. 5, del Ministro dell’interno Guido Buffarini Guidi che dispose la requisizione totale dei beni appartenuti agli ebrei e il successivo concentramento ed internamento in campi provinciali in attesa della loro successiva partenza e concentrazione in campi appositamente organizzati.

Fonte: il Sole24Ore
La Commissione Anselmi

Come accennavamo prima, la storiografia ha tentato di ricostruire queste vicende ma, allo stesso tempo, ha provato anche a farlo la politica, a seguito di una fortissima pressione dell’Unione della Comunità Ebraiche Italiane. Per questo, si decise la costituzione di una commissione capace di ricostruire le vicende di spoliazione (quella che poi prenderà il nome di Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, conosciuta anche come Commissione Anselmi). L’organismo, già nel giugno del 1999, produsse una prima relazione intermedia per poi concludere il suo lavoro con la pubblicazione del Rapporto generale, il 30 aprile 2001. Ad una prima parte di carattere generale ed introduttivo, segue un analisi settoriale: banche, industrie, assicurazioni, territori, città. E, se volessimo trarre dal rapporto una considerazione generale e riassuntiva, potremmo dire che le ricchezze ebraiche presenti sul territorio italiano, sia per quantità che per valore, non potevano giustificare un attacco così violento e sistematico da parte del fascismo. La stessa Presidente della Commissione, Tina Anselmi, affermò che «prima di essere un affare di danaro, la spoliazione è stata una persecuzione il cui obiettivo finale era l’annullamento morale e quindi lo sterminio».

Note

(1) Un tentativo editoriale molto interessante in questo senso è stato quello di Michele Sarfatti con il suo Il cielo sereno e l’ombra della Shoah. Otto stereotipi sulla persecuzione antiebraica nell’Italia fascista, Roma, Viella, 2022.

2) Id., Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2018, pp. 38-57.

3) A tutti gli ebrei venne ordinato, entro novanta giorni dal decreto, di denunciare tutti i beni posseduti all’Ufficio distrettuale delle imposte, che avrebbe, a sua volta, provveduto ad inviare puntuale comunicazione all’Ufficio tecnico erariale di competenza zonale. Quest’ultimo avrebbe effettuato gli accertamenti necessari consistenti nella verifica del valore dell’imponibile di terreni e fabbricati, in ottemperanza all’art. 10 del R.d.l. del 17 novembre 1938, e in caso di eccedenza avrebbe ripartito le proprietà in una quota consentita che sarebbe rimasta al proprietario e una quota eccedente trasferita ad un apposito ente che per conto dello Stato avrebbe avuto in gestione le quote eccedenti e si sarebbe occupato della loro vendita: l’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare (Egeli)

BIBLIOGRAFIA
  • R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988.
  • F. Levi, Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nella carte dell’Egeli. 1938-1945, Torino, Quaderni dell’archivio storico, Compagnia di San Paolo, 1998.
  • E. Basevi, I beni e la memoria. L’argenteria degli ebrei: piccola “scandalosa” storia italiana, Soveria Mannelli, Rubettino, 2001.
  • G. Maifreda, Aspetti economici della legislazione antiebraica italiana nel quadro delle legislazioni europee, in Antisemitismo in Europa negli anni trenta. Legislazioni a confronto, a cura di: Renata Broggini, Anna Capelli, Milano, Franco Angeli, 2002.
  • I. Pavan, La presenza ebraica nell’economia italiana alla vigilia delle leggi antiebraiche. Prime note, in «La Rassegna Mensile di Israel», vol. LXIX, n. 1 (gennaio-aprile 2003), pp. 287-320.  
  • M Sarfatti,  Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2018.
  • Id., Il cielo sereno e l’ombra della Shoah. Otto stereotipi sulla persecuzione antiebraica nell’Italia fascista, Roma,Viella, 2020.
  • I. Pavan, Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia 1938-1970, Firenze, Le Monnier, 2022.

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