L’eterno ritorno di Black Mirror

È finita l’epoca di Black Mirror? A tre anni dall’ultima stagione, pensavamo non ci fosse più posto per una serie che già da un po’ dava segni di stanchezza e attirava molte critiche. Eppure, è stato appena annunciato che la sesta stagione si farà ed è già in cantiere.

Ma se ne sentiva il bisogno? Pensiamo per un attimo a cosa promette Black Mirror.

Tech-villains del genere che discende direttamente dagli scienziati pazzi antagonisti di 007? Ne vediamo così tanti, tra cinema e tv, che ci tocca farne parodie, come il guru di Don’t Look Up. Per non parlare dei “cattivi” che dalla vita vera finiscono in qualche biopic, per esempio The Social Network e la recentissima The Dropout.

Intelligenze artificiali malvagie? Dai tempi di HAL 9000 in 2011: Odissea nello spazio ne sono comparse sui nostri schermi a dozzine. Per fare solo alcuni esempi: Ultron nel secondo film degli Avengers, Alie nella serie teen The 100 e Aida in Agents of Shield. O, al contrario, robot e I.A. che diventano più umani dei loro stessi creatori. Come “Madre” in Raised By Wolves e gli androidi di Westworld.

Storie che ci avvertono sui pericoli dell’iperconnessione? Anche queste sono ormai un genere a sé stante, con tutto un filone di eredi (o forse emuli) di Black Mirror quali Dimension 404, Solos, Upload e perfino, in un certo senso, Love, Death and Robots. Per non parlare di Electric Dreams e Brave New World, due classici della fantascienza il cui adattamento in serie tv forse si deve anche alla popolarità della creatura di Charlie Brooker.

Una scena di Black Mirror – Credits: Endemol Shine Group, Netflix

Anche dal punto di vista della struttura narrativa, dopo Black Mirror si sono moltiplicare le serie antologiche. Quelle con un filo conduttore, più o meno coerente, che ci fa sentire intelligenti mentre lo seguiamo da un capitolo all’altro.

Ma la tecnologia è un po’ il lupo cattivo di cui non ha paura più nessuno. Anzi, spesso è un semplice oggetto di scena che accompagna momenti di ottimismo e speranza, in cui della tecnologia vediamo anche le migliori qualità. È un po’ quello che succede in This Is Us, che ha dedicato una puntata al valore della comunicazione via web nel tenere unite persone fisicamente distanti.

Mentre in Heartstopper, vedere in tempo reale i due protagonisti esitare su quale messaggio inviare l’uno all’altro è una bellissima rappresentazione delle incertezze del primo amore.

Ma allora, in questo oceano di schermi all’interno di altri schermi, qual è il grande peccato delle ultime stagioni di Black Mirror? L’essere troppo commerciale, edulcorato, non dirompente come gli episodi pre-Netflix?

Al di là della fisiologica perdita di slancio di un prodotto che, superato il clamore della novità, resta comunque molto ispirato, l’ostacolo principale alla godibilità di Black Mirror è la nostra realtà. In cui l’avanzamento tecnologico e le sue distorsioni potenzialmente orribili sono sempre un passo avanti, un po’ più veloci, un filino più spaventosi della finzione.

Possiamo provare a indovinare dove ci porterà la nuova stagione appena annunciata. Forse nel mondo delle criptovalute, che sta mostrando tutti i suoi rischi proprio in questo periodo. O magari nel metaverso, di cui sappiamo poco ma in cui si sarebbe già verificato il primo caso di stupro virtuale. O ancora nello spazio, al seguito di qualche super-ricco. Che preferisce spendere milioni per cinque minuti in assenza di gravità che per migliorare la vita ai suoi dipendenti sulla Terra.

Una scena di Black Mirror – Credits: Endemol Shine Group, Netflix

Da un lato ci sono le iperboli, le grandi narrazioni che esplorano frontiere lontane ma possibili dell’evoluzione umana per svelarne potenzialità e pericoli. Dall’altro la quotidianità della nostra simbiosi con lo “specchio nero”, in cui la tecnologia diventa un mezzo come un altro per mettere a nudo l’anima di un personaggio, per creare un colpo di scena o far progredire l’azione, senza però essere il vero “cuore” del racconto.

Come in una famosa canzone di David Bowie, il film ci annoia perché lo abbiamo già vissuto. Trascorriamo ogni giorno in un mondo in bilico tra la scelta più etica e quella più lucrativa. Maneggiamo con leggerezza strumenti dalle enormi implicazioni negative. Dalla nuova stagione di Black Mirror, non ci aspettiamo niente di nuovo.

Eppure la guarderemo lo stesso, assorbiremo il suo superficiale avvertimento, le sue lezioni morali più o meno significative. E poi le lasceremo scivolare via. Continuando come se nulla fosse ad alimentare dinamiche tossiche sui social, a ignorare il degrado ambientale, a inseguire l’ultima novità high-tech senza riguardo per il deserto fisico e morale che si espande tutt’intorno.

Non sembra forse uno scenario dell’orrore quello della “boiler summer cup” che dilaga su TikTok in questi giorni? Non è il tipico esempio cosa “alla Black Mirror”, che ci fa riflettere solo sullo strumento, ovvero un social per ragazzi, anziché sul problema, e cioè il sessismo e il body shaming radicati nella nostra società?

Siamo tutti, un pochino, dei cattivi di Black Mirror. E ci piace, vederci riflessi in quel piccolo specchio nero. Per questo correremo a guardarla appena tornerà su Netflix. Ne parleremo su Twitter per qualche tempo e poi ce ne dimenticheremo come sempre. Ma se almeno un briciolo dell’effetto spiazzante delle prime stagioni sarà rimasto, forse nel tornare alla nostra routine pre-Black Mirror avremo un po’ di incoscienza in meno.

Maria Antonietta Carroni (31), sarda nostalgica, romana per colpa di un master in cinema e tv. Inventa storie ma le piace anche commentare quelle degli altri. E usarle come occhiali per vedere meglio la realtà. “Siamo tutti storie, alla fine”.

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