Our flag means death: Vessilli pirata e bandiere arcobaleno

Nell’Età d’Oro della pirateria, agli inizi del ‘700, a infestare le acque dei Caraibi ci fu un personaggio sopra le righe perfino per gli standard pirateschi. Annoiato da un’agiata esistenza aristocratica, Stede Bonnet decise di darsi alla pirateria in un modo molto poco convenzionale. Comprò una nave, che battezzò Revenge. Assunse una ciurma a cui pagava un regolare stipendio. Si fece chiamare “il pirata gentiluomo”, ebbe un certo successo negli arrembaggi e affrontò ammutinamenti a causa dei suoi metodi poco ortodossi. Ma soprattutto strinse un’improbabile alleanza con una vera leggenda della pirateria: Edward Teach, detto Barbanera.

La vera storia di Stede Bonnet è talmente rocambolesca che già così sarebbe un ottimo soggetto per una serie tv “seria”. Magari sul modello dell’acclamata Black Sails. Ma a volte (come dicevamo nel nostro articolo sul genere biopic) gettare alle ortiche la fedeltà storica è il miglior modo di raccontare. E infatti, nella sua Our Flag Means Death, lo showrunner David Jenkins ha preso spunto dalla vicenda storica per dare vita a una commedia irresistibile, a tratti demenziale, ma soprattutto insospettabilmente romantica.

Distribuita da HBO Max e criminalmente inedita in Italia, Our Flag Means Death si apre con il capitano Bonnet (Rhys Darby) alle prese con la dura realtà della vita da bucaniere. Perché raccogliere intorno a sé una ciurma di emarginati è un conto, ma tutt’altro paio di maniche è trovare il coraggio di assaltare un vascello e affrontare violenti scontri armati.

Da sinistra, Rhys Darby nei panni di Stede Bonnet e Nathan Foad nel ruolo di Lucius – Credits: HBO, IMDB

Aiutato dal caso, dalla fortuna e da una buona dose di esilaranti stratagemmi, Stede Bonnet finisce per stringere amicizia con il temibile pirata Barbanera (Taika Waititi, anche regista della puntata pilota), ormai depresso e annoiato dopo anni di successi. I due capitani si accordano per imparare l’uno dall’altro: rispettivamente, come essere un vero pirata e come spacciarsi per un aristocratico.

La serie è da settimane in cima alle classifiche delle serie più viste in streaming. E il suo travolgente successo si deve a più punti di forza.

Per cominciare, il miscuglio di registri stilistici è uno dei fattori che rendono Our Flag Means Death così avvincente. A bordo della Revenge, che veleggia in un mare caraibico creato con la tecnica di ripresa in studio detta “the volume” (resa celebre da The Mandalorian), la commedia si alterna al pericolo delle scene di battaglia. Il romanticismo accompagna l’introspezione e l’approfondimento psicologico di personaggi che, per quanto caratterizzati in chiave comica, sono sempre tridimensionali.

E proprio la caratterizzazione dei protagonisti dà vita a dinamiche originali, dando l’impressione che personaggi di generi completamente diversi si siano ritrovati, per puro caso, nella stessa realtà, in cui le regole del gioco cambiano in continuazione.

C’è Stede, che sembra uscito dalle pagine di un romanzo d’avventura mescolato con una puntata dei Muppets. Frenchie (Joel Fry) e Lucius (Nathan Foad), presi di peso da una moderna sit-com. Anti-eroi tragici come Barbanera ed eroi da revenge-movie, come Jim (Vico Ortiz). Macchiette da siparietto slapstick come Buttons (Ewen Bremner) e Roach (Samba Schutte). Figure storiche reinventate, quali Israel Hands (Con O’Neill), Calico Jack (Will Arnett) e Spanish Jackie (Leslie Jones).

La ricostruzione storica si prende con allegria e disinvoltura molte libertà. In particolare nei dialoghi, che con il loro anacronismo accentuano l’umorismo della storia o, di volta in volta, i suoi aspetti più seri e drammatici. Come per esempio i traumi infantili sia del protagonista Stede Bonnet che del famigerato Edward “Barbanera” Teach.

Da sinistra, Con O’Neill nel ruolo di Israel Hands e Taika Waititi nel ruolo di Edward Teach detto Barbanera- Credits: HBO, IMDB

Our Flag Means Death non si tira indietro di fronte ai sentimenti, ai contenuti più maturi e cupi. Riflessioni critiche su razzismo, sessismo e classismo stridono con la sua superficie di rom-com scanzonata. Eppure lo è davvero, una commedia romantica. Non lasciatevi ingannare dall’atmosfera da buddy comedy delle prime puntate. Nel corso della storia ci sono ben tre relazioni apertamente queer.

Proprio per questo il pubblico, abituato da anni al più becero queer-baiting televisivo e a elemosinare briciole di rappresentazione mediatica, ha mostrato rumorosamente sui social media la sua adorazione nei confronti della serie. Le relazioni LGBT+ sono il cuore del racconto, e conquistano per la loro onestà e autenticità, genuina anche in mezzo agli eccessi e agli artifici di una commedia avventurosa.

Per rendere giustizia a questi temi, il creatore David Jenkins si è impegnato a mettere insieme un gruppo di sceneggiatori il più variegato possibile. Ha dato voce a scrittori e interpreti queer. Rispondendo così a un bisogno del pubblico rimasto finora inappagato. Dopotutto questo è il fascino profondo delle storie di pirati: da sempre sono simbolo di libertà da ogni costrizione. Anche quando si tratta della libertà di amare, e soprattutto di essere se stessi. E già il titolo, ironico nel suo significare “la nostra bandiera significa morte”, annuncia l’importanza delle bandiere. Che si tratti di vessilli pirata, o di bandiere arcobaleno.

Per questo Our Flag Means Death si merita una seconda stagione. E per questo dovrebbe trovare uno spazio anche nell’offerta televisiva italiana, dove non è ancora arrivato. Sperando che, quando finalmente arriverà, l’adattamento sia all’altezza della situazione. Ma d’altra parte, se nella serie una suora cattolica del diciottesimo secolo è in grado di usare con scioltezza pronomi non-binari, perché non dovrebbe riuscirci un team di doppiatori nel 2022?

Maria Antonietta Carroni (31), sarda nostalgica, romana per colpa di un master in cinema e tv. Inventa storie ma le piace anche commentare quelle degli altri. E usarle come occhiali per vedere meglio la realtà. “Siamo tutti storie, alla fine”.

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