La Russia di Stranger Things

Ve la ricordate la comparsa improvvisa degli agenti sovietici nella terza stagione di Stranger Things? A molti aveva fatto storcere il naso. Era così fuori moda, così tanto “guerra fredda”. Il solito cliché dei russi cattivi contro gli eroici protagonisti americani sfornato dalla propaganda hollywoodiana. Tra superpoteri, portali verso una dimensione parallela e creature mostruose, sembrava che la Russia dovesse rappresentare il “salto dello squalo” di Stranger Things, il dettaglio così folle da alienare gli spettatori.

Eppure la mescolanza di fantasy e stereotipi anni ’80 è il marchio di fabbrica di Stranger Things. Non avrebbe dovuto stupirci l’arrivo delle spie russe, che infatti poi si è rivelato molto più di un cliché. Grazie soprattutto a personaggi ben tratteggiati come l’amatissimo e compianto (dai fan) Alexei.

Alec Utgoff nel ruolo di Alexei in una scena di Stranger Things – Credits: Netflix

L’alta qualità del terzo capitolo della creatura dei Duffer Brothers ha dimostrato che una storia può funzionare nutrendosi di nostalgia e vecchi luoghi comuni, se sa usarli con intelligenza. In modo coinvolgente e non superficiale.

E la quarta stagione, da poco approdata su Netflix, ne è la conferma. Certo, Stranger Things è uno dei prodotti di intrattenimento più popolari al mondo ormai da anni. Perciò non stupisce che la maggiore attenzione riservata ai “russi cattivi” nelle nuove puntate abbia colpito in modo particolare le menti degli spettatori. Anche perché, nel frattempo, nel mondo c’è stato un cambiamento epocale.

La guerra in Ucraina, scatenata dall’invasione dell’esercito russo, ha dato un nuovo sapore alla rappresentazione mediatica della Russia. Sia pure in un racconto che mescola avventura, fantasy e period – perché gli anni ’80 ormai ci sembrano lontanissimi.

Ecco quindi che se nella terza stagione gli antagonisti sovietici ci sembravano qualcosa di cartoonesco, sopra le righe, alla luce dei fatti di attualità acquistano tutto un altro peso.

La nuova stagione vede una importante storyline ambientata proprio in una prigione sovietica in Kamchatka. Mentre i giovani protagonisti, divisi in gruppi, rimangono negli USA ad affrontare ancora una volta la minaccia venuta da un altro mondo, lo sceriffo Hopper è prigioniero dei russi e deve trovare una via di fuga tra inaspettate alleanze e nuovi pericoli.

Winona Ryder e Brett Gelman in una scena di Stranger Things – Credits: Netflix

Come già nella stagione precedente, però, non sempre ci sono buoni e cattivi nettamente separati. L’ottica non è “americani buoni contro russi cattivi”. Pur nella sua dicotomia da classico anni ’80, Stranger Things mantiene una sua schietta profondità di sentimento anche nel tratteggiare villain e personaggi secondari.

Che non sono quasi mai quello che sembrano. O se lo sono, creano un senso di familiarità più con gli antagonisti dei vecchi film d’avventura che vogliono omaggiare, piuttosto che con le figure di cui parlano in questi giorni giornali e reportage di guerra.

Così, a distanza di poche scene, possiamo assistere alla crudeltà dei servizi segreti americani e al coraggio di una guardia carceraria russa che, a costo di sacrificare la propria vita, si rifiuta di aprire una porta mettendo in pericolo tutti i suoi compagni. Vediamo la doppiezza di un contrabbandiere dai “solidi” principi capitalisti, paragonata con la sincerità di un soldato rinnegato che sì, è corrotto, ma per motivi che non fatichiamo a comprendere.

E che dire del monologo dello stesso Jim Hopper (David Harbour) a proposito della morte della figlia bambina? Provocata, forse, dalle attività illecite a cui lui stesso aveva partecipato all’ombra dell’esercito degli Stati Uniti?

No, la Russia di Stranger Things non è la stessa che occupa le prime pagine oggi, né quella rappresentata in una pessima luce dalle pellicole della Guerra Fredda. È solo un elemento in più nel conflitto della storia. Che, in Stranger Things, è da sempre – e in questa stagione in particolare – l’iniziativa individuale contro l’indottrinamento e il cieco conformismo del branco.

Una scena di Stranger Things – Credits: Netflix

Amicizia, altruismo, coraggio nell’affrontare i propri demoni si contrappongono a sete di potere, avidità e ostinato fervore ideologico. D’altra parte il principale antagonista della stagione, Vecna, è del tutto privo di umanità. Mentre le due fazioni “umane” che si contendono l’accesso al mondo parallelo del Sottosopra, per quanto crudeli, contano tra le loro fila persone complesse. Persone con difetti e virtù, su entrambi i fronti.

È la conferma che i valori a cui la serie attribuisce maggiore importanza non sono legati a una nazionalità. Ma a un certo modo, ottimistico al punto da sembrare infantile, vedere il mondo. Con la meraviglia che provano i piccoli nerd protagonisti di fronte a una scoperta scientifica o a una bella storia.

Maria Antonietta Carroni (31), sarda nostalgica, romana per colpa di un master in cinema e tv. Inventa storie ma le piace anche commentare quelle degli altri. E usarle come occhiali per vedere meglio la realtà. “Siamo tutti storie, alla fine”.

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