Perché non esiste un esercito europeo?

Come e perché è fallito il progetto della Comunità Europea di Difesa (CED), relegando l’Europa al ruolo di oggetto geopolitico tra Usa e Urss.

Voi vi siete opposti con queste formulette del nazionalismo, mettendo una nazione contro l’altra, ma con quale risultato? Che voi sarete costretti a subire, come noi prevedevamo, un’alleanza militare di vecchio tipo, che si sostituisce al grande sogno umano che era contenuto nella CED.

Così si rivolse alla Camera Randolfo Pacciardi, quando il Parlamento italiano discusse la situazione continentale dopo il rifiuto francese alla Difesa Comune. Qual era il principio regolatore della CED? Chi erano i promotori e con quali scopi?

IL CONTESTO INTERNAZIONALE

I Paesi che avevano dato via ai colloqui che confluirono nel Patto di Bruxelles del 1948 iniziarono a interrogarsi se fosse utile o meno anche una Comunità Europea di Difesa, la CED. Questa alleanza avrebbe affiancato le iniziative economiche di libero scambio che erano già in atto all’indomani della firma dei trattati di pace, oltre alla NATO. La perdita del monopolio atomico da parte degli USA e la contestuale espansione sovietica dopo la guerra civile cinese e la guerra di Corea spinsero  l’amministrazione Truman a pensare a delle contromisure in Europa. Nel cosiddetto rapporto NSC 68 (National Security Council report 68) del settembre 1950, si portava a conoscenza  degli stati occidentali la minaccia sovietica.

In questo clima gli alleati iniziarono anche a parlare del riarmo tedesco e dell’inclusione della parte occidentale in patti sovranazionali di collaborazione energetica, industriale e infine militare. Fu da questo contesto geopolitico che scaturì la proposta del Presidente del Consiglio francese René Pleven da cui ebbe origine il negoziato sulla costituzione di una Comunità Europea di Difesa. Il piano Pleven nasceva dalla proposta di Jean Monnet di creare una struttura europea di difesa da inserire in quella più ampia di matrice politica.

Tralasciamo per ora gli aspetti noti del movimento federale europeo che in Italia aveva in Altiero Spinelli il suo faro, per affrontare un aspetto tecnico relativo alla situazione strategica e operativa della CED.

La difesa europea
LE TRATTATIVE E IL RUOLO DELL’ITALIA

L’esercito europeo avrebbe ricevuto i fondi da un unico bilancio. Questo strumento avrebbe avuto alla guida un ministro della Difesa europeo. Un’Assemblea parlamentare e di un Consiglio dei Ministri avrebbero invece controllato l’operato della forza armata in attesa di essere integrata nella Comunità Politica Europea. Il contingente militare avrebbe avuto forze terrestri del Belgio, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Lussemburgo e Olanda. La struttura principale presentava sei Divisioni, che ricevevano rinforzi dagli eserciti nazionali in caso di bisogno. I lavori sul progetto Pleven iniziarono il 15 febbraio 1951, gli olandesi fino a ottobre rimasero come osservatori. L’azione per la realizzazione della difesa comune rientrava nel più ampio piano di federazione europea.

La prima bozza di accordo venne presentata nel luglio 1951. Ben presto i militari italiani fecero presente al Ministro alcune osservazioni di carattere operativo: si evidenziava che l’Italia avrebbe dovuto contribuire al futuro esercito europeo con tutte le proprie forze, al contrario della Francia che manteneva truppe per le colonie. I soldati italiani avrebbero operato, a differenza della Germania, al di fuori del territorio nazionale. Un disegno figlio del nuovo concetto difensivo statunitense, che rivedeva il baricentro strategico tra i fiumi Elba e Reno. Inoltre, l’Italia sarebbe stata lasciata in inferiorità nelle posizioni direttive della CED.

I DUBBI ITALIANI

In Italia, il Ministro della Difesa Pacciardi sosteneva che la realizzazione di una comunità di difesa dovesse attuarsi attraverso la creazione di una patria europea. I soldati non erano come il carbone e l’acciaio, avevano anime.

Pacciardi pose sin dall’inizio degli interrogativi durante le riunioni con le controparti europee: In che modo le  unità  avrebbero comunicato, non avendo una lingua comune? Fino a che livello operativo bisognava integrare i sistemi?

Tutti interrogativi che, aggiunti ad altri, finirono nelle relazioni tecniche presentate dall’Italia. Un primo diretto intervento di Pacciardi durante la discussione tra i ministri della difesa fu sull’impiego della forza europea in questioni di ordine pubblico: fece modificare l’articolo che prevedeva l’impiego della forza multinazionale in questioni interne, che a suo avviso avrebbe potuto avvantaggiare i comunisti in una insurrezione e mostrare una debolezza da parte dello stato. 

Pacciardi inoltre, quando ebbe l’occasione di partecipare alla conferenza dei ministri degli esteri, il 28 dicembre 1951,  sollevò delle questioni legate al comando delle unità ma soprattutto alla loro composizione, devolvendo all’autorità nazionale il bacino di reclutamento territoriale in quanto solo l’autorità centrale conosceva la composizione politica dei distretti, il tutto per evitare che elementi comunisti costituissero dei blocchi unici all’interno della forza europea. Un timore supportato dalle informative degli apparati di intelligence.

LA POLITICA statunitense e FRANCESE

Alle elezioni legislative del 17 giugno 1951 in Francia, i partiti più europeisti subirono una pesante sconfitta. Mentre ottennero un voto favorevole i partiti che si erano sempre opposti, quello gollista e quello comunista.

La situazione politica francese mise in ansia il Dipartimento di Stato che aveva come obiettivo di fondo la formazione di un esercito europeo, ritenuta l’unica opzione possibile per riarmare la Germania e creare una difesa autonoma a livello europeo.

Dopo l’approvazione da parte USA del programma, la conferenza di Parigi stilò il rapporto finale per la ratifica dei parlamenti dei paesi contraenti. Il piano prevedeva la costituzione di 20 divisioni dirette dal comandante supremo della Nato, comprendenti un contingente tedesco. Inoltre si faceva riferimento ad un’eventuale unificazione politica dei paesi aderenti al progetto europeo, alla non discriminazione fra paesi ed al divieto di interferire con le forze NATO.

La difesa europea bocciata dall’assemblea francese ©LASTAMPA
LA MANCATA RATIFICA FRANCESE E IL FALLIMENTO

Il 27 maggio 1952, a Parigi, i rappresentanti di Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Italia firmarono il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa.

Il Trattato enunciava il principio di eguaglianza tra tutti gli stati membri, sottolineava la natura difensiva e sovranazionale della Comunità e asseriva la dottrina che un attacco contro un paese membro avrebbe significato un attacco contro tutti. All’interno, il trattato prevedeva l’aiuto anglo-statunitense in caso di attacco all’Europa, ma soprattutto prevedeva la stipula di un accordo CED-NATO. Quest’ultimo punto avrebbe applicato automaticamente l’articolo 5 del Patto Atlantico in caso di aggressione.

Infine, nel disegno dei contraenti, l’articolo 38 avrebbe dovuto porre le basi per l’unificazione politica, federale o confederale.

Per l’attuazione della Comunità il trattato aveva bisogno della ratifica parlamentare dei singoli paesi. Il progetto fallì a causa del mancato appoggio francese. Infatti, l’Assemblea Nazionale francese rigettò il trattato mediante un espediente procedurale, rimandando il progetto.

Tra i motivi principali che indussero i francesi a bocciare il piano, oltre alla prevalenza di forze contrarie, vi fu sicuramente il clima internazionale modificato: il voto francese si celebrò il 30 agosto 1954, Stalin era morto da poco e con esso la minaccia sovietica si percepiva come affievolita. Inoltre a indirizzare il voto francese concorsero certamennte la guerra in Indocina e l’impossibilità, per i nazionalisti interni, di accettare il riarmo tedesco a così poco tempo dalla fine della guerra.

conclusioni

In questo fallimento Altiero Spinelli vide un pericolo per la democrazia italiana, in quanto era stata percepita come una vittoria del PCI che avrebbe potuto tentare di mandare in crisi il sistema italianano instaurando una “democrazia popolare“, mentre sul fronte opposto il fallimento della CED contribuì al riaccendersi dei nazionalismi a danno del dialogo federalista.

L’esperienza della CED oggi si ripropone come punto di partenza per l’Unione Europea fin troppo integrata dal punto di vista economico, ma ancora indietro da quello politico, dove risiede anche l’aspetto militare. I limiti individuati all’epoca, a soli otto anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, possono oggi essere superati e costituire la spinta per consentire alle popolazioni europee di affrontare le sfide del presente in un unico soggetto continentale.

Emanuele Di Muro. Si diletta a correre maratone attraverso i sentieri della storia.Il suo anno di nascita ha irrimediabilmente condizionato la sua propensione a elaborare strampalate previsioni geopolitiche.#Runninginhistory

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